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di MAURIZIO GALLO LO STRISCIONE non è in testa al corteo.

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Dietro, un gruppetto di militanti marcia tra un florilegio di kefiah, bandiere rosse con la falce e il martello e l'immagine del «Che»; bianche, verdi, nere e rosse del Fronte di liberazione palestinese; ancora rosse dei marxisti leninisti e dei Cobas e ancora verdi dell'Ucoi, l'unione delle comunità islamiche, con la scritta in arabo che significa «non c'è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta». Il «lenzuolo» rifondarolo si perde tra quelli dei Comunisti Italiani di Oliviero Diliberto, che sfila più avanti a braccetto con Marco Rizzo, ed è la dimostrazione che qualcuno nel Prc ha aderito alla manifestazione malgrado la «scomunica» di Bertinotti. Ma è poca roba. «Meglio pochi ma buoni», dirà a bassa voce qualcuno. Pochi tra i pochi, visto che da piazza della Repubblica non partono più di 2000 persone (10.000 per gli organizzatori, 1500 per la Questura) e che in piazza Venezia ne arrivano a malapena 500. Il corteo dell'ala sinistra dell'estrema sinistra sfila lungo le vie del centro di Roma masticando slogan cruenti, come «10, 100, 1000 Nassiriya» e cedendo a «riti» già visti in questi giorni di rivolta anti-satira nei Paesi arabi, come dare alle fiamme le bandiere americane e israeliane. Unica «botta» di creatività sembra essere quella di ribattezzare strade e piazze in nome del defunto Yasser Arafat o dell'Intifada, utilizzando «targhe» di carta bianca incollate al muro durante il passaggio dei manifestanti. Che sono davvero quattro gatti ma sono riusciti, nel loro piccolo, a spaccare il fronte del movimento a sinistra dei Ds, già incrinato dall'intervista dell'ex candidato Marco Ferrando, (anche lui sceso in strada ieri). La manifestazione, infatti, è stata osteggiata dal segretario del partito per l'ambiguità delle parole d'ordine che facevano riferimento alla «resistenza palestinese e irachena» e non a quella condivisa dal movimento pacifista, cioè «due popoli, due Stati». Una divisione che, a sentire i «rifondaroli eretici» in marcia lungo il centro della Capitale, sarebbe più vasta e profonda di quello che Bertinotti e i vertici dell'organizzazione vorrebbero far credere: «Non siamo qui per spirito di polemica ma perché un partito che si definisce comunista non può non schierarsi a fianco dei popoli che lottano contro il dominio neocolonialista - sostiene Filippo Pagano, del coordinamento giovani di Rifondazione a Bologna - Hanno sbagliato a non aderire anche Bertinotti e gli altri. Loro cercano un profilo accettabile nei confronti dell'Unione e in base alla stessa logica hanno escluso Ferrando dalla competizione elettorale, una scelta incomprensibile e scorretta dal punto di vista democratico. Anche perché la revoca ufficiale della sua candidatura è stata annunciata dall'Ansa prima ancora che fossero concluse le consultazioni con tutti i membri del comitato politico nazionale. Una decisione - continua Pagano riecheggiando le accuse espresse dallo stesso trotzkista epurato dalle liste - che rappresenta un inaccettabile cedimento al diktat di forze esterne al nostro partito». Il «corteo della discordia» va avanti, macinando slogan come «Governo di destra, governo di sinistra, chi appoggia la guerra è sempre fascista», «Dall'Iraq l'Italia se ne deve andare via, dieci, cento, mille Nassiriya» oppure «Democrazia islamica è la nostra via. Via, via i servi della Cia». Tra gli striscioni anche quello dei Carc, i «comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo» e dei «semprerossi» marxisti leninisti. Fino al mesto epilogo in piazza Venezia, dove a sbarrare la strada ad eventuali tentativi di raggiungere via del Corso e quindi Palazzo Chigi è schierato un cordone di agenti in tenuta antisommossa e sono stati messi uno dietro l'altro una decina di furgoni celesti della polizia. Mentre molti vanno a casa, il sole scende e l'aria si fa più fredda, gli interventi al microfono si susseguono interminabili. L'ultimo a far sentire la sua voce dagli altoparlanti montati su un camion sul quale

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