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Sull'Iraq le minoranze interne fanno quadrato

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Appena è cominciata a circolare la notizia del giro di consultazioni telefoniche avviato da Bertinotti per risolvere la vicenda quanto prima convocando il gruppo dirigente, il diretto interessato non ha perso tempo, e ha colto la palla al balzo per rilanciare la parole d'ordine con le quali, al congresso di Venezia del marzo di un anno fa, si era scagliato contro la linea bertinottiana di sostegno attivo a Romano Prodi. Un congresso che passò alle cronache come quello dell'ingresso ufficiale del Prc nel centrosinistra ma, allo stesso modo, conti alla mano, coincise col minimo storico del consenso al segretario in seno al partito. In quell'occasione, infatti, le tre mozioni che si opponevano alla linea «entrista» di Bertinotti (di cui due di matrice trotzkista e una leninista) raccolsero il 41 per cento dei voti dei delegati, molti dei quali provenivano da federazioni di tutto rilievo, nei congressi delle quali l'opposizione interna aveva prevalso. Numeri che Ferrando ha ieri puntualmente ricordato, avallato in questo anche da Claudio Grassi, titolare della mozione leninista, per annunciare la propria resistenza a oltranza a una decisione nei fatti già assunta da Bertinotti. A questi argomenti, Ferrando ha abilmente aggiunto quello dell'orgoglio di partito, appellandosi ai «compagni», affinchè Rifondazione non possa cedere al «diktat di Prodi, D'Alema e Fini», non a caso accomunati come attori di uno stesso disegno. Se a ciò si aggiunge il fatto che dalla base del partito giungono sempre più numerosi segnali di perplessità per la svolta «istituzionale» di Bertinotti (che molti danno per probabile presidente della Camera in caso di vittoria del centrosinistra), e che difficilmente, nonostante i tentativi del vertice, si potrà tenere a freno nelle prossime settimane la vena antagonista del no-global Caruso, l'appuntamento di venerdì si presenta per l'ex-sindacalista lombardo tutt'altro che agevole.

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