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Fini resta il fedelissimo di Berlusconi

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Il leader di Alleanza Nazionale è l'unico nella Cdl a non criticare la scelta di andare in Procura

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Sabato era finita così, con Silvio Berlusconi che bacchettava i suoi alleati e Udc e Lega che rispondevano a tono stigmatizzando la scelta del premier di spostare la campagna elettorale in Procura. Ieri la seconda puntata con la parziale retromarcia di Casini («Siamo sempre stati solidali con Berlusconi, ma sulla strada dei tribunali non lo seguiremo»). Con Roberto Maroni che difende il premier pur condannando la decisione di impostare una «campagna elettorale giudiziaria». E col solo Gianfranco Fini al fianco del premier. Eccolo lì, Fini, viso rilassato parlare a braccio dal palco dell'Hotel Ergife di Roma davanti all'Assemblea Nazionale di An convocata per approvare il nuovo simbolo con cui il partito si presenterà alle prossime politiche (fiamma tricolore e la scritta Fini, in giallo, sotto il nome del partito) e dare così il via alla campagna elettorale. La sua è una difesa decisa. «Se siamo in una situazione di veleni non la più idonea per una campagna elettorale, certamente la responsabilità non si può dare alla Cdl o al premier: veniamo da anni in cui la sinistra ha sempre tentato di demonizzare e di delegittimare persino il risultato elettorale». Parole distantissime da quelle pronunciate dal resto della coalizione, parole rivolte al segretario Ds Piero Fassino che oggi invita ad abbassare i toni, e a cui Fini ricorda che «la sinistra non può lamentare un imbarbarimento del confronto dopo quanto è successo negli ultimi anni. Chi è causa del suo mal pianga se stesso». Insomma per il leader di Alleanza Nazionale non ci sono dubbi, l'appello pronunciato da Berlusconi sabato non tocca il suo partito che, in questi anni «ha sempre ribadito il suo sostegno, non solo a parole ma con i fatti al premier, ogni volta che è stato oggetto di attacchi e di campagne di demonizzazione». Anzi, pensando al premier, Fini dice che: «La prima pagina dell'Unità da mostrare non è quella dei funerali di Stalin, ma tutte quelle che, in questi anni, hanno preso di mira Berlusconi». Certo sui «famosi» 50 milioni di euro di Consorte Fini non si esprime («Se Berlusconi ha detto certe cose avrà le sue buone ragioni») e aggiunge che spetterà ai giudici verificare «eventuali profili di illecità penale», ma una cosa è certa, anche per lui, la vicenda Unipol non è ancora «chiusa». Difeso il premier, Fini può concentrarsi nel lanciare la candidatura di An (e quindi la sua) a «governare in prima persona» il Paese. «Siamo pronti - dice -, abbiamo superato tutti gli esami e non siamo subordinati a nessuno se non al giudizio degli elettori». Parole che non vanno contro gli alleati, ma rientrano nella «competition» propria dello schema a tre punte. E se Berlusconi è il «capocannoniere» (come ha detto lo stesso vicepremier lo scorso dicembre) Fini, da oggi, è il suo uomo assist.

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