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E Paolo Mieli

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si trasformò in commissario

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L'aria delle feste si avverte e sono tutti più buoni. Una giornata «ecumenica», la definisce Prodi che addirittura si avventura in un mea culpa apprezzato dalla platea ulivista. «Se di mancanze o di errori vogliamo parlare, il nostro, dopo il '96 è stato quello di non aprire un cantiere permanente con la finalità di creare, quanto, attraverso il voto ci chiedevano gli elettori: un soggetto della politica riformatrice, unico, solido e credibile». Romano Prodi, in pratica, riconosce che «soltanto ora si cerca di fare quanto si poteva realizzare già nella passata legislatura». Ma per sua stessa ammissione, si giustifica così: «Presi dagli oneri di governo, e che impegni, abbiamo spostato il progetto alla periferia delle nostre priorità, dibattendone sì, ma in modo accademico e, francamente, poco fattivo e soprattutto, non comunicando con la nostra gente». «Una promessa mancata», ammette l'aspirante premier, alla quale «si deve la sconfitta del 2001». Un tradimento? «I cittadini - per Prodi - sono stati come gelati, i nostri elettori, che ci avevano mandato al governo nel '96 ci avevano conferito un secondo mandato: quello di perfezionare, di rendere più forte e credibile l'offerta che implicitamente avevamo fatto loro presentandoci uniti al maggioritario con la lista dell'Ulivo». C'è anche questo nel Prodi show che messo il punto al suo intervento ha voltato le spalle ed è andato via. Così come Rutelli. Prima ancora Fassino. Sul palco resta soltanto Giuliano Amato tra Paolo Mieli ed Ezio Mauro, che fanno un po' da «commissari». E pensare che l'ex presidente del Consiglio per educazione era in prima fila ad ascoltare i loro interventi sin dal primo pomeriggio. Dl, Ds, Prodi e il socialista «dimenticato». E. G.

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