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CARO Direttore, l'immagine che a tutta pagina hai mostrato è quella di un cadavere.

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Pochi istanti prima di quello scatto, di quella fotografia così dettagliata, quel corpo era costituito da un'essenza ed aveva una esistenza, in poche parole era un individuo, o per dirla con termini più poetici era a tutti gli effetti una persona. Ci sarà chi obietterà, ritornando a Cartesio, che non di persona si tratta perché appunto cartesianamente si dice che «penso, quindi sono». C'è infatti chi contesta ed esclude l'esistenza di un atto di pensiero da parte di un corpo che è poco più di un grumo cellulare anche non del tutto formato. Se io per essere devo pensare, quello non è un essere. Non la penso così e credo che in quel dubbio ci sia gran parte dell'errore del moderno scientismo. Andiamo avanti col ragionamento: quell' individuo era e ora non è più. Viveva ed è morto. Ha cessato di esistere in quanto in modo deliberato, attraverso una libera scelta, è stato espulso da quell' utero materno in cui stava lentamente ma inesorabilmente crescendo per formarsi ogni giorno e arrivare ad una piena maturazione onde poter poi vivere senza più il fondamentale apporto del corpo di una donna, sua madre. Ti prego, segui con attenzione: vedi bene che non sto minimamente aggettivando tutte queste azioni con valutazioni morali, o con giudizi di merito. Procedo per ora con un'analisi fredda dei fatti. È una premessa questa che ammetto mi serve un po' per mascherare il disagio, e ti assicuro è davvero tale e profondo, nel far seguire il mio ragionamento. Torniamo all'essere. Devo dirti innanzi tutto che tu con quella foto spietata pubblicata lì in bella mostra a colori sulla prima pagina del giornale hai messo il dito non tanto nella piaga della ferita aperta oggi nel dibattito su aborto o non aborto, su legge 194 o altre simili importanti questioni. A mio parere tu con quell'immagine hai fatto un discorso sulla metafisica dell'essere che vale migliaia di pagine dotte scritte sull'argomento. C'è di che vergognarsene un po', temo, perché oggi parlare di metafisica dell'essere sa tanto di sagrestia, di polverosi libri in noiose università cristiane, di riti magici e di esoterismo medievale. Uomini davvero stupidi, noi laici, che come ho già avuto modo di dire da queste pagine abbiamo lasciato nelle mani, peraltro sapienti, del magistero cattolico ogni riflessione fondamentale sulla morale, sull'etica, sul diritto naturale, sulla metafisica dell'essere. Torniamo al cuore del problema: quell'essere cui la vita è sfuggita non per sua scelta, non per scelta della natura, ma per atto deliberato e cosciente è morto perché è stato ucciso. Fatico perfino a scriverlo, non solo a pensarlo. Ucciso, quindi è un omicidio. Aspetta, prima di giudicare: l'uomo ammette l'omicidio in stato di necessità. Lo fa quando uccide in guerra, quando deve salvare se stesso e i suoi cari per quella che si chiama legittima difesa, lo fa addirittura nella democratica, civile e perfino religiosa società americana, come è accaduto non poche ore fa in Texas con l'ennesima esecuzione capitale. Però non possiamo nasconderci dietro le parole. L'aborto è un omicidio legalizzato. Vedi caro Franco, tu ed io non possiamo dire molto di più. E sai perché? Perché siamo uomini ma apparteniamo al genere maschile. Ragioniamo, riflettiamo, polemizziamo e addirittura legiferiamo se richiesti, ma non possiamo capire nulla di quanto dolore, rabbia e angoscia profonda ci sia nel cuore di una donna che ha voluto e o dovuto abortire. Per questo dovremmo confrontarci ogni momento con loro e invece, soprattutto in quel momento terribile, noi maschi lasciamo completamente sole le femmine di fronte a quell'omicidio. Pensiamo di lavarcene le mani, di non sporcarci la coscienza. E invece nove volte su dieci è tutta nostra la colpa, di noi maschi. Siamo, caro Franco, i mandanti di quell'omicidio. L'uomo non sceglie il suo fine, vuole solo essere felice per il fatto che è uomo. Egli è però libero di scegliere quella che sembra la migliore per arrivarci. Le cose però sono ben diverse se consideriamo la scelta dei mezzi in rapporto

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