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La resistenza irachena voleva incontrare Prodi

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Per due mesi gli estremisti hanno tentato di contattarlo. Ma il Professore ha rifiutato: «Una cosa inopportuna»

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Più un'altra ventina di sigle della resistenza antiamericana irachena. Tutti insieme, a settembre, hanno scritto una lettera a Romano Prodi nella quale gli si chiede «come primo ministro in pectore», di ritirare le truppe italiane dall'Iraq. Altrimenti l'Italia «non potrà sottrarsi alla responsabilità storica per quanto è accaduto e sta accadendo in Iraq». Il gruppo, che si firma «Comitato nazionale Iraq libero» e che ieri ha messo su Internet il comunicato, scrive che per due mesi ha cercato di incontrare il leader dell'Unione, ma Prodi, spiegano ancora, si è sempre rifiutato «giudicando la cosa "inopportuna"». Insomma la resistenza irachena ha provato ad «agganciare» il Professore ma lui si è sempre fatto negare. Un atteggiamento che non è garbato molto agli estremisti arabi. «Questa scelta del candidato premier del centrosinistra — scrivono ancora nel comunicato — ufficiosamente attribuita a "problemi nell'Unione", la dice lunga sugli orientamenti e sulle contraddizioni di quello schieramento. Ci chiediamo: con chi si pensa di costruire un processo di pace se non si riconoscono i legittimi rappresentanti del popolo iracheno?». «È proprio la capacità di azione politica della resistenza — prosegue il "Comitato nazionale Iraq libero" — che fa paura al ceto politico "politically correct", cioè subalterno in varie forme al dominio imperiale americano». Di sicuro nella lettera che volevano consegnare a Prodi c'è una forma di ricatto. «Il suo paese ha legami storici antichi e profondi col popolo iracheno e arabo — scrivono — Noi speravamo che questi legami avrebbero costituito un solido fondamento per rapporti basati sul rispetto delle sovranità nazionali e del diritto dei popoli all'autodeterminazione. Ma questi rapporti sono ora in pericolo finché le truppe del suo paese continueranno a partecipare all'azione di pirateria internazionale di cui l'Iraq oggi è vittima. Difendere l'immagine dell'Italia come nazione amica degli Arabi è diventato purtroppo oggi un compito arduo». La notizia dei tentativi di contattare Prodi da parte della resistenza irachena è arrivata lo stesso giorno in cui Rutelli, in un'intervista all'Espresso, spiega che, se il centrosinistra vincerà le elezioni, deciderà subito dopo il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq. «Decideremo il rientro — ha affermato — un minuto dopo l'insediamento del nuovo governo. Se le nostre truppe sono state totalmente assenti nel giorno più caldo dell'Iraq, quello del referendum, perché le truppe locali che esse hanno addestrato se la sono cavata da sole, è evidente che la missione è in via di esaurimento. Continuiamo allora ad addestrare polizia e militari, a lavorare per la ricostruzione dell'Iraq, ma mi pare che una strategia di uscita oggi corrisponda a prospettiva largamente condivisa». Diverso, invece, per Rutelli, il discorso che riguarda l'Afghanistan: «Dovremo rafforzare la nostra presenza in quel paese, dove il processo è complicato, sono sempre presenti i signori della guerra, E dovremo fare la nostra parte politica nella crisi iraniana (aggravata dalla "deviazione" irachena) e nella questione israelo-palestinese».

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