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Nuovo Psi come un'assise liceale

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Al congresso del nuovo Psi, ieri ce n'era tantissima. Succede di tutto dentro e fuori la grande sale da congressi della Fiera di Roma, ma moltissimo accade fuori. Tra una sigaretta e una chiacchiera, un saluto e una discussione accesa quasi sembra che il fuori sia più importante del dentro, il bisbiglio più decisivo dell'intervento in sala. E la questione se aderire o no all'alleanza con il centrosinistra passa quasi in secondo piano, mentre tutti litigano per stabilire se si tratta di un vero congresso oppure no, se i delegati dei congressi locali sono legittimi o no. Sembra di essere tornati indietro con la macchina del tempo della politica, dritti dritti fino a un congresso di partito di trent'anni fa, in cui tutto quello che contava erano le tessere, i delegati e i voti all'assemblea plenaria. Ieri come oggi. De Michelis e Craxi del resto sono nomi vecchi, vecchissimi della politica italiana, anche se ora il protagonista sulla scena è Bobo, il giovane (neanche più tanto) figlio del più amato-odiato leader socialista italiano. I due si aggirano circondati dai loro uomini, si incrociano sul palco e fuori e non sembrano proprio nemici giurati, però gli animi si riscaldano, le contestazioni sono vivaci. Molto si deve ai sostenitori delle rispettive mozioni, sono soprattutto loro che si stanno facendo la guerra per conquistare il partito. La decisione se aderire o meno all'alleanza con i radicali e i socialisti democratici di Boselli, e quindi scegliere il centrosinistra, è secondaria. Del resto sia Craxi che De Michelis con sfumature diverse si dicono pronti a questa opzione. Certo Craxi è più netto: «Oggi lo spazio politico dei socialisti è nel centrosinistra», mentre De Michelis punta al primo obiettivo «L'unità con i socialisti e i radicali». Però insomma siamo lì. Solo una piccola minoranza, capeggiata dal giovane ministro Stefano Caldoro e da Chiara Moroni, è determinata a rimanere nella Casa delle libertà. Però se il partito si divide e i toni in certi momenti diventano aspri, le contestazioni vivaci e qualche volta addirittura violente è dovuto più che altro alla battaglia per il potere, per il controllo della macchina e al limite su come far pesare i voti dei socialisti. Beghe che arrivano da un mondo che un tempo era grande e che ora, pur avendo le dimensioni di un topolino della politica, si muove ancora come fosse un elefante. In sala ci sono pochi giovani, più che altro le facce sono quelle dei soliti funzionari. Sul palco e nei crocicchi non si sente quasi nessuno parlare di programmi. Mentre tutti si appassionano per stabilire chi ha la maggioranza e se il congresso è un vero congresso. All'apertura dei lavori la questione non era stata sciolta. Le due mozioni si contestano a vicenda la legittimità dei loro delegati e senza superare l'impasse non si può aprire ufficialmente il congresso. Il problema doveva essere risolto dalla commissione di garanzia del partito. Ma l'accordo non si trova. Però a un certo punto dalla presidenza si comunica che la commissione ha deciso a maggioranza e il congresso ha i suoi delegati ufficiali: il 66% è per la mozione Craxi, il resto va a De Michelis. Ma il segretario in carica non ci sta, riunisce una conferenza stampa per dire che sono numeri al vento, la commissione non si è mai riunita. Per De Michelis «è come se una parte dicesse noi abbiamo il 100% e l'altra pure ma la somma non può essere il 200%». Bobo Craxi risponde felpato: «Troveremo un accordo, la notte porta consiglio». Ma non sembra lui ad animare tutta la giostra. Come ha detto nel suo intervento in mattinata a lui interessa «far sentire le idee socialiste» nello schieramento di centrosinistra per salvarlo dal radicalismo alla Bertinotti, chiede semplicemente alla delegazione socialista al governo di dimettersi e ai parlamenteri di rimettere il mandato. Non sembra interessato a conquistare il partito. «Diventare segretario proprio non ci pensa» dicono i suoi, anche se tra la folla di suoi sostenitori c'è chi a gran voce glielo chiede. Ed è buffo perch

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