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Il Tar sul fumo: i ristoratori non sono sceriffi

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Illegittima la circolare del ministro Sirchia che impone agli esercenti di chiamare le forze dell'ordine

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A decretarlo è stato il Tar del Lazio, che, con sentenza numero 6068 del primo agosto 2005, ha accolto il ricorso di un barista di Savona che aveva impugnato una multa della somma di 420 euro comminatagli dalla Polizia municipale. La sanzione era scattata in quanto, secondo i vigili urbani, l'esercente non aveva ottemperato all'articolo 51 della legge numero 3 del 2003, inerente alla la normativa per la tutela dei non fumatori. In poche parole, pur avendo visto un cliente fumare, non aveva chiamato le forze dell'ordine né lo aveva invitato a spegnere la sigaretta. La circolare del Ministero della Salute 17 dicembre 2004, recante «indicazioni interpretative e attuative dei divieti conseguenti all'entrata in vigore» della legge in questione, infatti, impone al responsabile della struttura di «curare l'osservanza del divieto» di fumo nei locali privati aperti a utenti o al pubblico, nonché, in caso di inottemperanza dei clienti, «di richiamare formalmente i trasgressori all'osservanza del divieto di fumare» e «di segnalare, in caso di inottemperanza al richiamo, il comportamento ai pubblici ufficiali». Nel caso in cui il titolare del locale non esegua gli obblighi prescritti, la circolare prevede che scattino le sanzioni amministrative previste: una salatissima multa. Il Tar del Lazio ha di fatto annullato la circolare ministeriale. I giudici amministrativi deducono tra i motivi di diritto della sentenza l'illegittimità degli atti impugnati per violazione del principio di legalità. Dalla circolare viene imposto ai gestori di locali pubblici un obbligo di vigilanza sul rispetto del divieto di fumare. Insomma, secondo il Tar del Lazio «viene imposto un preciso dovere di vigilanza a fini pubblici a soggetti privati». Dovere il quale, tuttavia, non è presente nell'articolo 51 della legge 3 del 2003. Nello specifico, la circolare rinvia al comma V dell'articolo 51, il quale, a sua volta, rinvia all'articolo 2 della legge numero 584 del 1975. Quest'ultima norma, però, si limita a stabilire che i gestori dei locali «curano l'osservanza del divieto, esponendo, in posizione visibile, cartelli riproducenti la norma con l'indicazione della sanzione comminata ai trasgressori». Semplificando le cose, secondo il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, gli esercenti non sono «sceriffi». Nel caso in cui sorprendano un avventore a fumare, non devono intimarlo a smettere, né chiamare le forze dell'ordine segnalando l'infrazione. L'unico obbligo che devono rispettare è quello di affiggere in un luogo visibile a tutti i clienti il classico cartello con la scritta «vietato fumare». Per il Tar del Lazio, «l'interpretazione seguita dalla circolare appare palesemente erronea in quanto desume dall'articolo 2 della legge 584/75 (di cui è dubbia la stessa sopravvivenza dopo l'entrata in vigore della legge 3/03) elementi precettivi insussistenti». Insomma, la circolare non può, per imporre ai gestori di locali pubblici dei doveri, fare riferimento a una legge che non prevede alcun obbligo aldifuori di quello di affiggere il cartello «vietato fumare». Addirittura, il Tar definisce «irrazionale» la circolare dell'allora ministro Sirchia. Così, dichiarando ammissibile il ricorso del barista di Savona, il Tar ha annullato la multa comminata all'esercente, reo di non aver chiamato i vigili urbani in presenza di un cliente che fumava all'interno del suo locale. Più che attaccare alla parete il cartello che obbliga a tenere il pacchetto di sigarette in tasca il barista non era tenuto a fare. Al massimo, dovevano essere i clienti non fumatori a richiamare l'avventore fumatore incallito o, addirittura, a chiamare le forze dell'ordine per far rispettare il divieto. Finisce, con questa sentenza del giudice amministrativo, la leggenda dei «ristoratori sceriffi». Gli esercenti temevano, appena entrata in vigore la circolare del Ministero della Salute, di perdere clienti. Un r

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