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di FABRIZIO DELL'OREFICE SE c'era una cosa che Gianfranco Fini non si aspettava era l'attacco di Altero Matteoli.

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Lui, il ministro che, arrivando all'assemblea nazionale di An il 2 luglio scorso, entrò in sala e disse: «Ascolteremo la relazione di Fini, sarà certamente molto interessante». Così, a prescindere. Ancor prima di ascoltarla. Il presidente di Alleanza nazionale aveva deciso di promuoverlo, di metterlo a capo dell'organizzazione, il ruolo più delicato, insieme con quello di svolgere le trattative con gli altri partiti. Matteoli era il «fedelissimo». Ma il suo rapporto con Fini per il momento è bruciato. E tutto per quelle frasi sul conto del capo pronunciate al bar, quella necessità di «prenderlo a schiaffi», di «scuoterlo». Fini non l'ha presa bene: «Mi hanno tradito», ha confessato agli ultimi tre o quattro che gli sono rimasti al fianco. Con i colonnelli aveva alzato il ponte levatoio ormai da tempo. Con Gasparri ha raffreddato i rapporti dopo che l'allora ministro delle Comunicazioni aveva lasciato il governo. Di La Russa non è contento per come ha gestito il partito, suscitando critiche di una parte di esso. Puntava su Matteoli, ma anche lui è venuto meno. Chi gli resta? Alemanno? Lo teme, soprattutto perché gli potrebbe scippare il partito (ma almeno quello che aveva da dirgli glielo ha detto in faccia). Storace? Forse, ma il presidente di An è ancora scottato dall'adunata dell'Hilton, organizzata dall'allora governatore del Lazio, che sembrò una manifestazione contro di lui. Negli ultimi tempi tra i due è tornato a splendere il sereno. Urso? Fini ha avuto con lui un piccolo litigio proprio giovedì pomeriggio: il viceministro chiedeva di tornare al partito e il gran capo ha quasi fatto finta di non sentirlo. Ora potrebbe accontentarlo. «È stato un tradimento», ha ripetuto Fini. Poi ha chiamato uno dei suoi consiglieri che giorni fa aveva provato a metterlo sull'allerta, dicendogli che stava per succedere qualcosa: «Avevi ragione tu, l'avevo capito, ma non ci volevo credere. E invece è venuto fuori, nessuno può più far finta di nulla, erano lì a tramare». Insomma, Fini si sente ancora più isolato sul piano umano. E ora medita di congelare i rapporti personali, fermare tutto e ripartire. Ragionare e ripartire era stato il suo editoriale sul Secolo. Il punto è tutto qua. Fini ha bisogno di An. E An di lui. In questo gioco ad incastri di interessi e volontà, il partito e il suo capo si sopporteranno ancora per un po'. Gasparri, La Russa e Matteoli hanno scelto la linea del silenzio sulla vicenda. Hanno anche pensato di procedere a una smentita di quanto pubblicato da Il Tempo, ma poi hanno deciso di lasciar perdere, in quanto ritengono che la loro conversazione sia stata registrata su un nastro e che possano venire fuori altre rivelazioni (d'altro canto, hanno parlato per oltre mezz'ora). La domanda che si fanno loro, e non solo loro, è: che farà Fini? Che farà? Il leader di Alleanza nazionale per ora sta a guardare. Spera che la vicenda si smorzi e via via sparisca dalle pagine dei giornali. Non vedrà domani i colonnelli nell'ufficio di presidenza del partito. Non vuole dare troppo peso a quanto accaduto, ma è deciso a far vedere che riprenderà in mano la situazione. Soprattutto il ragionamento che sta facendo (e di cui ha parlato a qualche suo consigliere) è non prendere per il momento provvedimenti. Se drammatizzasse, per esempio, correrebbe il rischio anche di avvalorare le affermazioni che i tre hanno fatto davanti a un aperitivo. Deve insomma intervenire stando però attento a fare in modo che non vengano prese sul serio le frasi che i tre hanno pronunciato. E soprattutto, quel che più teme, finirebbe per rendere quantomeno verosimile la principale "accusa" che gli hanno rivolto: Fini è malato. E infatti La Russa è corso subito ai ripari affermando che in realtà si riferiva a un suo piccolo malanno che si è procurato di recente. La tattica del capo è dunque lasciar correre e rinviare qualunque scelta: «Mai decisioni a luglio, quando si è stanchi. Meglio a settembre quando si

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