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Un anno di soli rifiuti

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Sì, perché da quando è tornato ad occuparsi dei fatti di casa sua, il Professore, non è riuscito a pronunciare altra parola che un «no» incondizionato a tutto e a tutti. Spesso anche in contrasto con la sua stessa coalizione tanto da meritarsi appieno il nomignolo di «signor no». Una lunga e ininterrotta serie di rifiuti eccellenti che è arrivata addirittura a mettere in dubbio la sua candidatura a leader dell'Unione. Era il 5 gennaio scorso, la colizione di centrosinistra viveva il suo momento di massima divisione e il Professore, dal suo buen retiro emiliano, novello Cincinnato ammonì: «No a compromessi spartitori sulla Federazione». Era solo l'inizio. Neanche una settimana e Prodi declinò cortesemente la possibilità di sedere sulla poltrona del Capo dello Stato. «Nel mio futuro - disse - non ho mai visto il Quirinale». Poco più che una boccata di aria fresca il vero Professore, quello che non dice mai sì, doveva ancora venire. Così dopo aver rigettato al mittente l'ipotesi di elezioni anticipate, Prodi tentò anche la carta di affossare il referendum sulla procreazione assistita. Non proprio un no, ma un giudizio comunque negativo sull'opportunità di andare verso una consultazione referendaria. Ma è sulla politica economica che il leader dell'Unione ha dato il meglio di sè. Forse affascinato dalla patrimoniale di bertinottiana memoria, Prodi ha sempre criticato, in ogni modo, la politica fiscale del governo. «Noi non vogliamo aumentare le tasse - fu lo slogan del Professore -, vogliamo ridurle il più possibile. Ma soprattutto vogliamo che le paghino tutti». Tutto abbastanza prevedibile visto che l'unica volta che Prodi si è trovato a parlare di un'ipotesi di programma del centrosinistra ha riassunto il tutto nella frase: «Faremo un programma di rottura con Berlusconi». Nascono da qui i no alla guerra in Iraq («ma noi non siamo contro gli Usa»), ad una riforma della legge elettorale «ingiusta e sciagurata», ad una revisione del patto di stabilità Ue («l'Italia che sostiene questo è suicida»), alle leggi ad personam (Cirami in testa) e ad una riforma Costituzionale che mina le stesse fondamenta della Carta indebolendo il Parlamento e il Quirinale. Ma il «signor no» ha dato filo da torcere anche alla sua coalizione. Come quella volta che, incalzato da Bruno Vespa, garantì: «La coalizione non scivola verso sinistra e non ci sono elementi che giustifichino questa affermazione. Faremo un programma riformista, non sono mica un novellino». O come quella volta che, al tavolo delle trattative per le elezioni Regionali, sbattè la porta in faccia ai Radicali. O come quell'altra che chiuse definitivamente la questione sulla trasformazione della Fed in un partito. Tutto qui? Assolutamente no. Il Professore ha voluto rassicurare anche coloro che temevano un cambiamento nei suoi «toni pacati». «No - ha detto -, il carattere non cambia». Non dubitavamo. Così, a seguire, sono arrivati i no all'equiparazione di coloro che combatterono contro i nazisti e coloro che combatterono per i nazisti e, cosa piùà dirompente, il secco no al matrimonio tra omosessuali (con buona pace di Grillini & Co.). Sul versante antileghista, invece, si segnalano i no al referendum sulla Costituzione Ue e ad un ipotetico e fantasioso ritorno alla lira. Ma nella lista dei gran rifiuti, compare anche un «ni». È quello pronunciato nel merito del ponte sullo Stretto. «Io non ho detto no al ponte, ma ci sono cose più urgenti». Insomma, più no che sì. Niente male per uno che, il 4 febbraio scorso, nel corso del congresso Ds, disse: «Gli italiani devono sapere che non diremo sempre dei sì e non diremo di sì a tutti. Noi diremo dei sì e dei no». Già, ma i sì quando arrivano? N. I.

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