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«Non tratto, ho domato uno squalo E da settembre torno tra la gente»

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Gianfranco Fini ha appena rindossato la giacca visto che per l'intervento ha scelto una mise sportiva, solo camicia con gemelli in vista. Dunque Fini esce dalla sala, attraversa i corridoi dell'Hotel Ergife e si va a piazzare a un tavolino del bar, lì, al centro della hall. Nel posto più in vista dell'albergo. Si mette lì, accavalla le gambe. Gli uomini della scorta si mettono tutt'intorno ai quattro angoli, a sorvegliare che nessuno transiti e disturbi il capo. E lui, Fini, si infila in bocca una bella sigaretta. Poi due, poi tre. Intorno, tre belle fanciulle con tailleur e gioielli d'oro al collo e tette vagamente in vista che lo guardano con occhi sognanti come se avessero di fronte George Clooney. Erano sedute lì anche perché, giunte per assistere all'assemblea, se ne stavano al bar a chiacchierare qaundo è arrivato il grande capo. Che s'è seduto lì con loro e ha fatto una solenne promessa: «Da settembre tornerò a girare per le città, a incontrare gente». Fuma Fini in barba al divieto di sirchiana memoria. E chiacchiera con loro. Parla, ride, sorride, ammicca. E ride di nuovo. Fuma. Non degna di uno sguardo alcuno all'infuori delle tre. Ride, e quanto se la ride. E parla. Niente politica. Puro cazzeggio. La foto di Fini e di An è tutta qui. Il leader del partito seduto al bar che sfumacchia e se la ride con tre puelle, al centro della scena ma perfettamente isolato come un vero imperatore cinese di dinastia Ming. E il suo partito tutt'intorno che s'affanna, si scervella, si lacera. C'è uno Storace incazzato nero, pare un fumetto con il vapore di rabbia che gli esce dalle orecchie. C'è Urso che suda, ma quando mai ha sudato. C'è Mantovano che si è messo in un angoletto e si legge e rilegge il suo intervento. C'è Alemanno che si chiude in una sala con i suoi: si sentono urla, grida, chi esce ancora con l'affanno per il discorso troppo accalorato. Poco più il là c'è Destra protagonista che si riunisce in una sala. Gasparri e La Russa cercano una mediazione. Anche qui le urla che si sentono sino a fuori nonostantele porte chiuse: «Ci dobbiamo contare? E contiamoci una buona volta, facciamogli vedere quanto valiamo». E un altro: «Mettiamolo in minoranza». E si sente chiaramente la voce di La Russa che si sgola: «Bravi, e una volta che lo abbiamo messo in minoranza, Fini si dimette e dopo? Che facciamo? Ce l'abbiamo un altro? No, e allora!». E tutto un andirivieni. Nei corridoi c'è frenesia, tensione, urla. E Fini? Lì, se ne frega. Racconta episodi e le tre fanciulle a ridere, a sganasciarsi dalle risate. Ma che racconta? Si parla delle traduzioni sbagliate degli intepreti all'estero che gli hanno fatto sfiorare qualche incidente diplomatico. Svolazza qualche volgarità. Poi altri aneddoti. Eccone uno, origliato nonostante la scorta: «Una volta ero in un Paese arabo e mi hanno portato su una barca a vedere la barriera corallina. Improvvisamente si è avvicinato uno squalo, ma uno squalo vero. Ho sporto la mano e gliel'ho appoggiata sul muso. Così nella mia vita posso dire di aver domato anche uno squalo». Altro che partito. E poi ringrazia: «Stando con voi mi avete evitato di parlare con questi del partito che hanno solo cose da chiedere». F. D. O.

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