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Unico assente lo scudo crociato

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Duemila persone all'hotel sull'Aurelia. In molti costretti ad arrivare a piedi

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Il caldo e la calca lo hanno costretto a seguire l'assemblea seduto di fianco ad una delle casse che trasmettono all'esterno le parole dei relatori. Sta parlando con un amico, forse un conoscente, sicuramente un coetaneo. Una delle oltre 2000 persone che in un caldo sabato mattina di giugno hanno fatto volentieri la fatica di spingersi in questo remoto angolo della Capitale per assistere all'assemblea fondativa della nuova Dc di Gianfranco Rotondi, Mauro Cutrufo e Paolo Cirino Pomicino. Sono venuti in autobus, in macchina, in taxi, a piedi. Sono venuti dalla Campania (la maggior parte), dall'Abruzzo, dal Lazio dalle roccaforti storiche del potere democristiano. Hanno intasato l'unica strada di accesso all'hotel. Tanti sono già arrivati e tanti ne arriveranno. «Un vero e proprio pellegrinaggio» urla Mauro Cutrufo dal palco. In verità, arrivando a via della Stazione Aurelia, è praticamente impossibile non notare un'assenza importante. Il manifesto che campeggia lungo la strada, le bandiere che accompagnano i «pellegrini» lungo il cammino, tutto sembra perfetto, ma manca qualcosa. Manca lo scudo crociato. Quelle due bandierine su fondo blu, mal si sposano, con il nome altisonante di Democrazia Cristiana. Sono cose che possono andare bene a dei ragazzini, a quelli che la «grande» Dc l'hanno conosciuta grazie ai racconti dei nonni e dei papà. Ma sono un po' pochino per chi ha vissuto 50 anni ininterrotti di potere democristiano. Così, per evitare che qualcuno si senta sperduto, all'ingresso della sala America vengono proiettate immagini dello storico passato. Ci sono Sturzo, De Gasperi, lo scudo con la scritta Libertas. I partecipanti passano, si fermano, e in un attimo si sentono a casa. Qualcuno, per evitare sorprese, si è portato la bandiera, quella giusta, da casa. Il bianco è leggermente ingiallito, segno che negli ultimi anni il vessillo è rimasta ben custodito all'interno di qualche armadio. Che lo «scudo crociato» sia l'unico grande assente in questa giornata lo si capisce quando Paolo Cirino Pomicino rivolgendosi alla platea, con un'eloquente smorfia sulla faccia, dice: «Io sono sgomento quando penso che lo scudo crociato appartiene ad una sola persona. Lo scudo crociato appartiene a milioni di dirigenti e militanti che hanno fatto la storia della Democrazia Cristiana». Standing ovation. La platea si scioglie in un lungo applauso e, per un momento, anche le bandiere «ufficiali» sembrano più belle. Per il resto potremmo dire che tutto è rigorosamente «democristiano». Democristiani sono i capannelli di militanti che vorrebbero salire fin sul palco per stringere la mano a Cirino Pomicino e vengono bloccati dal servizio d'ordine. Democristiano è Flaminio Piccoli «l'uomo che da solo ha tenuto acceso il fiammifero della Dc». Democristiani sono i dissidenti romani di Forza Italia che si aggirano anonimi tra la folla. E democristiana è la distribuzione degli applausi e delle citazioni che, in un consesso del genere, non sono mai casuali. Come quando Gianfranco Rotondi cita la presenza di Publio Fiori in sala e la platea sottolinea il tutto con «un lungo e prolungato applauso» quasi volesse abbattere l'ultimo muro che impedisce al deputato di An di fare il grande passo. Ma democristiano è anche lo statuto di questo nuovo partito. Lo stesso della vecchia Dc. «Così - spiegano - non rischiamo di sbagliarci». In effetti, senza scudo crociato, e con queste due striminzite bandierine su fondo blu, il rischio c'è.

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