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Il presidente prepara il restyling per aderire poi al partito nuovo di Berlusconi Il ministro organizza la trincea: un documento per la riscoperta dell'identità

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Viene sconfitto e accusa gli altri. Si becca la bastonata e prende a calci quelli del suo partito. Qualche giorno fa, Gianfranco Fini, mentre leggeva i giornali in aereo è sbottato: «'Sti straccioni, se non c'ero io ma quando facevano i ministri?». E così, anche stavolta, ha difeso la sua linea. La sua. Si era schierato per tre sì e un no mentre tutta An era per l'astensione. E così, dopo che la sua scelta è stata bocciata in maniera schiacciante dalle urne, il vicepremier attacca: «Dopo il referendum non ho cambiato idea, non saranno certo le polemiche politiche a turbare la mia certezza di aver agito secondo la mia coscienza. E non ho nessuna intenzione di dimettermi. Ero e resto convinto che votare sì fosse moralmente giusto per la ricerca scientifica e la salute della madre». Insomma, uno schiaffo in piena regola al partito in subbuglio. Ha sempre fatto così, d'altro canto. E anche stavolta Fini, sinceramnete sorpreso dalla reazione del suo partito, decide di andare avanti per la sua strada. Che è quella di preparare un restyling del partito, forse anche un cambio del nome o di simbolo. Insomma, di dichiarare conclusa l'esprienza di An così come è nata, visto che nuovi apprrodi si scorgono all'orizzonte. Fini sta per chiedere al suo partito di aderire al partito nuovo di Berlusconi, che lo aspetta. Alemanno invece non ci sta. E di fronte al leader che tira dritto, forza la mano e si dimette da vicepremier: «Non possiamo far finta che non sia successo niente all'interno di Alleanza nazionale. Tutti dobbiamo metterci in discussione». Tutti i finiani doc fanno quadrato. Poco dopo arriva il secondo siluro, quello di un ex fedelissimo del gran capo, Alfredo Mantovano, che ammonisce: «Si è manifestata la totale divergenza di opinioni tra i leader e la maggioranza del partito per me deve essere un confronto di sostanza che riguardi i valori di fondo in cui il partito si riconosce». È in discussione anche la leadership? «Sarà un confronto duro, un confronto il cui esito non è scontato». Ai due si aggiunge anche Publio Fiori, sempre più critico: «Fini ci deve spiegare come mai abbia assunto una posizione in violento contrasto con i principi fondanti di fiuggi e poi abbia perso al voto. Lo deve dire e trarre le sue conseguenze». Dove vuole andare Alemanno? Di certo sta preparando un documento da presentare all'assemblea nazionale del partito con il quale si chiede al partito di riscoprire la sua identità e i suoi valori. Sarebbe un autentica sfida al leader e alla sua linea. Insomma, si avvicina il muro contro muro. In mezzo, tra Fini e Alemanno, si piazzano Gasparri e La Russa. Entrambi si pongono, democristianamente, come mediatori nella contesa. Per esempio, Maurizio Gasparri avverte: «A destra non servono rese dei conti, ma più dialogo. Fini avrebbe dovuto interpretare i valori che hanno ispirato la legge che anche lui ha votato. Se fa scelte diverse si crea un corto circuito». Poi una stoccata al capo: «Voglio una coalizione più coesa e An nel Ppe, ma forse oggi non ci farebbero entrare non perché fascisti, ma perché laicisti, magari ci manderebbero all'internazionale socialista». E se la situazione interna è ancora molto fluida, il primo discrimine vero è il partito unico. Fini vuole spingere sull'acceleratore. Se non lo farà è possibile che Gasparri e La Russa lo abbandonino. Ma sul dare il via libera al rassemblement berlusconiano ci sono anche Urso, oltre a Matteoli e Landolfi. E anche Storace, sebbene con distinguo e con paletti chiari. Alemanno è contrario e chiede di imboccare la strada opposta ed è ad un passo dal costituire l'opposizione interna: proprio quella che sconsigliò a Storace quando questi ventilò l'ipotesi nel novembre del 2003. Il secondo punto controverso è invece il rispetto delle regole interne e la convocazione degli organi statutari. Nel partito si discute poco. E su questo Fini non è d'accordo, visto che oramai è allergico a tutto ciò che è An. Ma è in schiacciante minoranza, tutti gli altri colonnelli sono d'accordo. La

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