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Il cardinale: «Non ho combattuto per vincere, ma per ascoltare la mia coscienza»

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Il teologo Cottier: «Con l'astensione i sacerdoti hanno offerto una chance di dialogo»

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Ho cercato soltanto di fare il mio dovere di vescovo e di ascoltare la mia coscienza di uomo, di cristiano e di cittadino». Così ha parlato ieri al Tg1 il presidente della Cei in merito al referendum sulla fecondazione assistita, dopo essersi anche dichiarato «positivamente colpito dalla maturità del popolo italiano». «Vittoria è un'espressione sbagliata anche se - ammette - il risultato è andato al di là di quello che era presumibile». E poi ecco le dichiarazioni a proposito dell'aborto: «Non so chi si sia inventato questa piccola favola di un nostro attuale o programmato intervento contro la legge 194. Noi siamo contro l'aborto, ma non vogliamo modificare la legge. Auspicheremmo soltanto che nella sua applicazione si tenga conto il più possibile dell'importanza di favorire la vita». E a proposito dell'accusa di ingerenza della Chiesa nelle «cose» dello Stato, Ruini ha affermato che non può esistere un concetto di laicità in cui le religioni vengono estromesse dalla sfera pubblica e civile. «Se invece con laicità si intende libertà per tutti - ha detto ancora il porporato -, anche per la Chiesa come per chiunque altro abbia qualcosa da proporre alla gente, allora siamo pienamente per la laicità e la laicità non corre alcun pericolo». E dal Vaticano, è il cardinale Georges Cottier, pro-teologo della Casa Pontificia, colui insomma che corregge i testi ufficiali del Papa, a commentare a Il Tempo la politica della Cei. «I vescovi italiani - spiega Cottier - con la proposta di astensione, secondo il mio parere, hanno voluto offrire alla società civile una chanche di dialogo. La Chiesa si è cioè accorta che da più parti venivano propugnate opinioni scientifiche senza fondamento e così ha voluto far capire che lei per prima è un'istituzione che ha il dovere di illuminare le coscienze». «Spesso - ha continuato Cottier - si ha l'impressione che il mondo politico manchi della cultura sufficiente per affrontare questioni delicate come quella della vita. Spesso si pensa che ci possa essere cultura prescindendo dalla dimensione metafisica, prescindendo da Dio si pensa che la felicità possa essere raggiunta basandosi soltanto sull'esperienza sensibile immediata». Al di là del mondo politico, una grande maggioranza del popolo italiano, sembra abbia capito quale sia stato il duplice intento della Chiesa e del presidente dei vescovi italiani nel proporre il non-voto. Se, infatti, la Cei ha innanzitutto voluto far sì che il referendum fallisse perché contrastante coi valori legati alla difesa della vita intera, «dal concepimento fino alla morte», in secondo luogo la proposta del non-voto è stata un'indicazione precisa rivolta al mondo delle istituzioni politiche affinché accettino - e da oggi forse saranno costrette a farlo - di scendere nel campo della discussione e del dialogo soprattutto quando in ballo ci sono temi così delicati come quelli trattati dalla legge che il referendum voleva abrogare. «Sulla scelta del mondo cattolico - si legge in un comunicato diffuso dalla stessa Cei ieri sera - mai come in questa occasione propositivo e coeso, si è realizzata una spontanea e larghissima convergenza. E questo è tanto più significativo di fronte a una campagna elettorale rovente in cui il Comitato per il sì, promosso da radicali e diessini, aveva esplicitamente evocato il filo rosso di una antica egemonia culturale, trovando su questo vecchi e nuovi compagni di viaggio». In sostanza, dicono dagli uffici retti dal cardinale Ruini, l'opinione pubblica del Paese ha percepito una sensazione di vuoto, e ha espresso con il non-voto un'esigenza di autenticità e di chiarezza. Ecco allora che i due messaggi che si leggono nel non-voto sono innanzitutto la possibilità di dare vita, come è effettivamente avvenuto, a un'ampia convergenza culturale, etica e di impegno. E in secondo luogo la conferma della «chiarezza e della concretezza dell'impegno» dei cattolici.

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