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Salvacalcio in 5 anni, le società tremano

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I debiti potranno essere spalmati fino al 2007. Il decreto aveva permesso di svalutare 1.100 milioni

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Il ministro per le Politiche comunitarie, Giorgio La Malfa, al termine dell'incontro di ieri a Bruxelles con il commissario Ue al mercato interno Charlie McCreevy, ha indicato che «è stato raggiunto un accordo» in base al quale «i debiti saranno spalmati su cinque anni». «Abbiamo chiuso la questione sul decreto "Salva-calcio", nel senso che abbiamo trovato un'intesa che corrisponde sia alle esigenze a livello italiano, sia a quelle comunitarie. Quindi quel problema lo abbiamo eliminato», ha detto La Malfa, sottolineando che esiste «un testo che sarà oggetto di una lettera del governo, soddisfacente sia per l'Italia che per la Commissione Ue, con cui si chiude questa problematica». Squadre di calcio «salvate» dunque - come ha confermato lo stesso McCreevy secondo cui gli aspetti sostanziali dell'intesa raggiunta sono soddisfacenti e ora si aspetta «una lettera ufficiale» anche se «le linee generali e i contenuti sono ok» - ma i club che hanno usufruito del decreto possono gioire solo a metà. Per evitare di finire davanti ai giudici di Lussemburgo - e di incappare in eventuali salatissime multe - il governo ha dovuto accettare di rivedere radicalmente l'impianto originale del salva-calcio e di imporre alle società coinvolte sacrifici in più, dato che avranno cinque, e non dieci anni, per ammortizzare i debiti. Il compromesso prevede infatti di dimezzare gli effetti del decreto, fino al 30 giugno 2007, mentre la legge del febbraio 2003 consentiva alle società di calcio di svalutare il patrimonio calciatori «spalmandone» l'onere in dieci rate annuali, ciascuna pari ad un decimo del passivo totale. Del decreto si sono avvalse diverse squadre tra cui quattro «grandi» come Inter, Milan, Lazio, Roma (ma non la Juventus) e una decina di «minori» attraverso svalutazioni stimate in un totale di circa 1.100 milioni di euro. Sulla base dell'intesa raggiunta con Bruxelles, i club dovranno ora ricapitalizzarsi in totale per circa 550 milioni di euro (la metà dei 1.100 di svalutazioni compiute nel 2003). Una botta notevole sui bilanci già sofferenti di tante società, ma senza dubbio inferiore a quella che sarebbe stata inferta loro se si fosse andati davanti alla Corte di Lussemburgo ed i giudici comunitari avessero annullato la normativa italiana imponendo un rientro nei ranghi delle normative europee sulla contabilità aziendale senza sconti di nessun tipo. La lunga querelle era iniziata a novembre 2003, dopo il primo «no» dell'Ue: nell'arco dell'ultimo anno e mezzo il decreto è stato anche «de-fiscalizzato», è stato cioè privato di quegli stralci che prevedevano, secondo la lente di ingrandimento di Bruxelles, un beneficio fiscale per le società e un conseguente «aiuto di Stato». L'entrata in vigore del decreto spalmaperdite aveva permesso alla Lazio di evitare il fallimento nell'estate 2003, grazie alla contestuale svalutazione del parco giocatori e a un aumento di capitale da 110 milioni, interamente sottoscritto. La società che ha tratto benefici maggiori dal salvacalcio è invece stata l'Inter, con 319 milioni diluiti in dieci anni. La Juve, che ha conquistato venerdì scorso il suo 28° scudetto, è invece l'unica tra le big a non aver usufruito del beneficio.

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