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Sindrome dei Balcani, soldi per la ricerca

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Il decreto prevede uno stanziamento di 155mila euro per finanziare le analisi cliniche ai militari in missione all'estero. In particolare quelli che lasceranno il teatro delle operazioni entro il mese di gennaio. Le analisi saranno mirate all'accertamento dei livelli di uranio e di altri elementi tossici eventualmente presenti nel sangue dei soldati impiegati nelle missioni nei teatri internazionali. La novità è rappresentata dal nuovo modello di ricerca che vuole acquisire risultati più attendibili desumendoli dai campioni prelevati durante lo svolgimento delle missioni internazionali sottoponendoli ad esami di laboratorio prima e dopo l'impiego in zona operazioni. Questo tipo di ricerca «avanzata» permetterà di avere «analisi epidemiologiche più attendibili rispetto al passato» quando le analisi erano fatte dopo un lasso di tempo significativo rispetto al periodo di permanenza all'estero. Lo studio sarà indirizzato su un campione di circa 1000 soldati impiegati nelle diverse missioni tra Balcani e Iraq. I soldi serviranno per sostenere la commissione «Signum» studio sull'impatto genotossico nelle unità militare. I soldati che verranno sottoposti ad analisi sono quelli dei reparti NBc. «È questo dimostra come le analisi non saranno significative - sostengono all'Osservatorio Militare che da anni si batte per il riconoscimento della «sindrome dei Balcani» - I militari dell'Nbc sono gli unici che operano con le protezioni quindi a rischi ridotti. Sono tutti gli altri a essere esposti». Non solo. «Questa commissione è eversiva - insistono all'Osservatorio Militare - perchè attivata prima che prenda il via la Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, approvata da Palazzo Madama da due mesi ma non ancora operativa in quanto alcuni gruppi come l'Udc e la Margherita non hanno indicato i propri componenti». Per questo proprio ieri il senatore Lorenzo Forcieri (Ds), presidente dell'assemblea parlamentare italiana presso la Nato, ha scritto al presidente del Senato Marcello Pera per sollecitare la costituzione della commissione. La «sindrome dei Balcani» variante di quella che negli Stati Uniti è stata definita «sindrome del Golfo» dopo la prima guerra contro Saddam nel 1991 ha provocato almeno 90 decessi tra il personale impiegato nelle missioni in Bosnia e Kosovo. La relazione quadrimestrale della campagna di monitoraggio delle condizioni sanitarie dei cittadini italiani che hanno operato e operano in missioni internazionali nei Balcani condotta da esperti del ministero della Salute e della Difesa e resa nota nel dicembre scorso ha rivelato ben 99 casi di tumore maligno riscontrati in circa 60 mila soggetti del personale civile e militare della Difesa impiegato in Bosnia e in Kosovo in missioni umanitarie e di pacekeeping. Tra questi, tre sono i casi di leucemia, sedici quelli di linfoma di Hodgkin, 13 i linfomi non Hodgkin e 67 tutte le altre neoplasie diagnosticate. La sospetta incidenza superiore alla media di neoplasie tra militari impegnati in quell'area, si è appunto ipotizzata la «sindrome dei Balcani» dovuta al contatto con munizioni all'uranio impoverito o esplosioni di polveri velenose. Ipotesi avanzate da associazioni delle vittime e dai familiari dei reduci, ma smentite dagli studi ufficiali. In Kosovo sono stati sparati 31 mila proiettili rivestiti di uranio impoverito per un equivalente di 10 tonnellate di questo materiale di scarto delle centrali nucleari utilizzato dall'industria bellica. Bombe all'«uranio» sono state utilizzate in Afghanistan dove l'«Uranium Medical research center», un organizzazione statunitense ha rivelato nei mesi successivi alla caduta del regime taleban, dopo i bombardamenti americani, concentrazioni di isotopi cento volte superiori alla norma. Anche in Iraq sono state utilizzate bombe arricchite con uranio per colpire i bunker di Saddam avendo l'uranio impoverito un alto potere di penetrazione. Anche in Iraq una ricerca scientifica americana ha stabilito un fondo di rad

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