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Iraq, abusi e violenze nella prigione-lager

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Il presidente Bush: «Sono disgustato». Traballa ora la poltrona del segretario alla Difesa

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Bush. In una foto che ha fatto in poche ore il giro del mondo, una soldatessa americana, Lynndie England, del 372esimo battaglione di polizia militare, tiene un detenuto iracheno al guinzaglio, nudo come un cane. La foto è una delle «circa mille» immagini digitali ottenute dal Washington Post. Negli Usa l'indignazione è a livelli di guardia e ci sono voci che invocano l'intervento della Corte Penale Internazionale, il tribunale dell'Onu per i crimini di guerra a cui l'amministrazione Bush, su istigazione del Pentagono, aveva clamorosamente voltato le spalle, due anni fa proprio ieri: il 6 maggio 2002. Il paragone è inadeguato, ma il braccio A1 di Abu Ghraib che emerge dalle foto assomiglia a una versione tragica e impazzita di Animal House. Tra le immagini di cui si è impadronito il Washington Post alcune mostrano «crude simulazioni di atti sessuali tra soldati». C'è la foto di una giovane donna che si solleva la camicia esponendo il seno all'obiettivo. Al polso la donna ha un bracciale bianco con un numero stampato sopra. «Non è chiaro se sia o non sia una prigioniera di guerra», scrive il quotidiano della capitale che, in un editoriale, ha chiesto la testa del capo del Pentagono Donald Rumsfeld per «il disprezzo dimostrato per la Convenzione di Ginevra». «Il disprezzo di Rumsfeld è stato contagioso a tutti i livelli», ha scritto il Post. Le inchieste sullo scandalo si moltiplicano col passare delle ore e nuovi tasselli si aggiungono al mosaico sommario dei giorni scorsi. Il velo di segreto sulle attività della Cia in Iraq e in Afghanistan si è sollevato per un attimo facendo trapelare i nomi di due delle tre presunte vittime (la terza è morta in Afghanistan) dei Torquemada dell'agenzia. Secondo un passo finora trascurato del rapporto del generale Taguba, la Cia avrebbe chiesto alle autorità militari di Abu Ghraib di tenere sotto chiave un gruppetto di prigionieri senza che il loro nome figurasse nel registro del carcere. Erano i cosiddetti «prigionieri fantasma»: i detenuti che la Cia spostava di cella in cella per «nasconderli agli ispettori della Croce Rossa in visita nel carcere». Ieri il presidente George W. Bush, nel colloquio con il re di Giordania Abdallah, ha detto che le «immagini danno la nausea, non rappresentano lo spirito dell'America». Bush ha fatto sapere d'essere scontento del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, anche se, ufficialmente, gli conferma la fiducia. Nel Congresso, si levano voci che ne chiedono le dimissioni. Parlando in pubblico, il presidente dà, però, un appoggio forte e chiaro al suo ministro: «Rumsfeld è un segretario alla difesa ottimo, ha servito il Paese bene durante due guerre, è parte importante del mio gabinetto e resterà nel mio governo». Il che vuol dire che, almeno, lui non intende cacciarlo. Sotto pressione, Rumsfeld rinuncia ad andare a Filadelfia per fare un discorso: manda al suo posto Paul Wolfowitz, il suo vice che qualcuno già indica come suo successore (ma altri considerano Wolfowitz, l'ideologo dell'attacco all'Iraq, responsabile come Rumsfeld). Il capo del Pentagono incontra alcuni parlamentari, prepara insieme al capo di Stato Maggiore, generale Richard Myers, l'audizione che farà oggi di fronte alla commissione Difesa del Senato, presieduta da un suo buon amico, il senatore della Virginia John Warner, un ex marito di Elizabeth Taylor. Rumsfeld e Myers testimonieranno sulle torture, ma soprattutto su quando e come ne sono stati informati, su quali misure hanno preso, su chi e quando e come hanno messo al corrente. Il segretario alla difesa deporrà per due ore e sarà poi disponibile a ulteriori incontri: lui è certo che «c'è una spiegazione razionale» a quanto accaduto. Bush rimprovera a Rumsfeld di averlo informato tardi e male: «Non è contento e glielo ha fatto sapere». Al presidente non è piaciuto di sapere dello scandalo dai media, quando c'era u

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