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Nella Cdl più vicino l'accordo: ancora resistenze da parte del Cavaliere. Ulivo in piazza

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Soprattutto An e Udc sono di questo parere, che si oppone a quello di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere in un primo momento aveva fatto capire di preferire il reintegro del consiglio di amministrazione di viale Mazzini, nominando un nuovo presidente della Rai, possibilmente di centrosinistra; una linea che avrebbe confermato quella che aveva portato alla scelta di Lucia Annunziata (dimessasi ufficialmente solo ieri). Berlusconi tuttavia ieri era impegnato a Parigi e non ha seguito direttamente le vicende della tv pubblica. Ma la linea che prevale dentro Forza Italia è che comunque il Cda può rimanere in carica così cosm'è, anche fino alla scadenza naturale nel febbraio 2005. An per ora non apre un fronte su Viale Mazzini. Ma Fini sottolinea che nella legge Gasparri «sono contenute le nuove regole per l'indicazione del Cda». E il consigliere Veneziani si mette in posizione di attesa: «Per me restare è un servizio, non una assoluta esigenza». Un stop secco arriva invece dall'Udc. No a nuove nomine, tagliano corto a Via Due Macelli, pensando alla nuova tornata annunciata per la prossima settimana. Il Cda si limiti all'ordinaria amministrazione e dopo le europee se ne scelga uno nuovo con le procedure della Gasparri, aggiungono. E Giorgio Rumi prende tempo: «Per ora taccio, voglio pensare bene alle decisioni da prendere». La sorte del Consiglio dipende così dalle decisioni proprio di Rumi e Veneziani, ai quali Cossiga rivolge un «accorato appello» affinchè si dimettano «anche a tutela della loro personale credibilità». Tramonta intanto la richiesta del reintegro della Annunziata, lanciata due giorni fa a gran voce dagli uomini di Berlusconi. D'altra parte, i presidenti delle Camere, che mantengono un filo diretto con il Quirinale, continuano a lanciare segnali inequivocabili: dopo l'entrata in vigore della nuova legge, con la Rai non hanno più niente a che fare. E non intendono nemmeno avventurarsi in improbabili tentativi di "moral suasion" nei confronti dei consiglieri. Un'ipotesi che sembra escludere lo stesso minitro delle Comunicazioni: «Si è già detto tanto, c'è sempre bufera e discussioni sulla Rai. Quella della Annunziata è una decisione di sapore politico culturale». «Non mi risulta - afferma comunque il ministro - nessuno scontro. Siamo in una fase nella quale la nuova legge è di prossima pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale: credo sia questione di ore. A quel punto la legge sarà effettiva. Ed è una legge che dice delle cose precise sui tempi delle scadenze». E la nuova legge impone che il nuovo consiglio di amministrazione non sia più nominato dai presidenti delle Camere e del Senato (che a questo punto non hanno più nel nemmeno il tempo di procedere a un reintegro), ma bensì tutto il potere sia demandato alla commisione di vigilanza Rai con un accordo ampio. E ora? Che succede? Probabilmente il vertice di viale Mazzini resterà in carica così com'è sino alle elezioni europee: restreanno insomma i quattro consiglieri con l'attuale direttore generale. Dopo si ridiscuterà tutto, anche la Rai finirà nel calderone inm cui già giacciono tutti i dissidi della maggioranza: dalle tasse all'Alitalia, dal rimpasto mancato al nuovo assetto interno all'esecutivo. Nel frattempo il Cda a quattro membri si troveranno a fronteggiare non solo gli scogli della campagna elettorale, ma soprattutto il fuoco di fila dell'opposizione. Il giorno dopo le dimissioni di Lucia Annunziata, il centrosinistra (Fassino e Rutelli in prima linea) porta la protesta davanti al cavallo di Viale Mazzini per chiedere che tutto il Cda vada a casa e che finisca «l'occupazione militare» del servizio pubblico. Sullo sfondo l'ipotesi di «gesti forti»: dall'appello a Ciampi, a Pera e a Casini, fino ad un ancor più improbabile «sciopero» del video in piena campagna elettorale. A conferma che quello dell'Annunziata è stato un atto politico.

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