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di DINO TIERI RESTA certo l'impegno dell'Italia per l'Iraq.

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Il premier ribadisce il «no» a un ritiro in questa situazione: «Se noi venissimo via, insieme a tutti gli altri paese, cosa succederebbe in Iraq? Ci sarebbe una guerra civile disastrosa che metterebbe l'uno contro l'altro le differenti etnie, le differenti tribù, i differenti partiti politici. E ci sarebbe sangue, soltanto sangue». Anche Prodi, presidente Ue, ispiratore del «listone» del nuovo Ulivo e grande avversario politico di Berlusconi, pur marcando le differenze, conferma la serietà della posizione del governo su questo punto: «Una cosa è arrivare, un'altra è partire. Bisogna essere molto coscienti - dice - delle conseguenze che può avere una partenza riguardo alla situazione di quel Paese». Inoltre, aggiunge, «bisogna spingere perché l'Onu assuma il ruolo che deve assumere». Il vicepremier Fini, rientrato dagli Usa, interviene a sua sulla vicenda. «I miei colloqui con Cheney e con Rumsfeld come i colloqui di Frattini, di Martino e ovviamente del presidente del Consiglio con Bush - spiega Fini al Tg2 - si inseriscono in una strategia di governo che ci vede attivi e protagonisti, soprattutto insieme alla Gran Bretagna, per una internazionalizzazione della crisi irachena, per riavvicinare l'Europa agli Stati Uniti, per fare in modo che vi sia dopo il 30 giugno un governo iracheno rappresentativo, in grado di portare a termine la transizione. Fermo restando - conclude Fini - che il problema della sicurezza del territorio dovrà ancora essere garantito da truppe che potrebbero essere espressione di una coalizione più ampia rispetto a quella fin qui impegnata». Berlusconi nella sue dichiarazioni osserva anche che «se venissimo via dall'Iraq dovremmo fare la stessa cosa anche negli altri paesi dove attualmente noi stiamo. Che differenza c'è tra l'Iraq e il Kosovo, la Bosnia e altri paesi balcanici? Dovunque siamo, è soltanto - sottolinea - per consentire ai cittadini di quei paesi di diventare dei cittadini veri in paesi democratici». Assicura quindi che «noi continueremo a fare in Iraq, senza alcuna esitazione, quello che riteniamo il nostro dovere anche se questo costa e - dice ai familiari delle vittime di Nassiriya - è costato, soprattutto a voi». Quanto alla natura dell'amicizia fra Italia e Usa, il premier dichiara: «Siamo riconoscenti agli Usa perché ci hanno sostenuto nella nostra strada al benessere con aiuti economici generosi. Ricordo il Piano Marshall. Ma pure perché per cinquanta anni hanno consentito a noi e a tutti gli europei di vivere sotto l'ombrello protettivo della Nato nei confronti di una Unione Sovietica che incombeva con le sue armi di distruzione». «Siamo quindi - aggiunge - ancora oggi con gli Stati Uniti d'America nelle azioni di diffusione della democrazia e della libertà nel mondo, perché soltanto così noi potremo preservare i nostri figli dalle guerre nel futuro». Infine, Berlusconi sottolinea anche che nelle Nazioni Unite non tutti gli Stati sono democratici: «Esistono ancora alcune decine di paesi che sono sottoposti a delle dittature. Alcune di queste dittature producono minacce al resto della società. Tra queste potenze, c'è stato qualcuno che ha sostenuto l'idea folle del fondamentalismo terrorista che ha prodotto l'eccidio dell'11 settembre e altre stragi in diverse paesi del mondo, non soltanto in quelli occidentali, anche in paesi dell'Islam».

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