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Pulizia etnica in Kosovo, accuse agli albanesi

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La Nato manda tremila uomini, cinquecento saranno italiani: già partiti carabinieri e Folgore

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Il sistematico incendio e saccheggio delle chiese ortodosse e delle abitazioni serbe ha scatenato durissime reazioni di condanna. A cominciare da quella del comandante della Nato per l'Europa del sud-est, ammiraglio Gregory Johnson, che a Pristina ha accusato gli albanesi di «pulizia etnica». «Deve immediatamente cessare - ha aggiunto l'ammiraglio - perché è questa la ragione per cui noi siamo nel Kosovo». Il miracoloso rapporto che cinque anni fa aveva portato la Nato a schierarsi al fianco del popolo albanese per fermare le repressioni condotte dalle milizie serbe di Slobodan Milosevic sembra essersi dissolto in questi tre giorni di violenza folle. Le cifre parlano chiaro: fra i 600 feriti provocati dagli scontri, 61 sono militari della Nato e 100 sono agenti della polizia internazionale e locale. Obiettivo dei dimostranti albanesi non erano quindi soltanto i serbi e le loro chiese, ma gli stessi rappresentanti della comunità internazionale che un tempo venivano considerati i più forti alleati. «La colpa di quanto accaduto è della missione delle Nazioni Unite - ha affermato il premier albanese Bajram Rexhepi - perchè non ha agito nè per tempo, nè in modo efficace». Rexhepi ha parlato a Kosovska Mitrovica, la città divisa nel nord del Kosovo dalla quale mercoledì sono partite le violentissime proteste. A poche ore dalla sua partenza, un cecchino albanese, appostato su un palazzo, ha aperto il fuoco contro una pattuglia francese della Kfor: i militari hanno risposto al fuoco uccidendolo. È la prima vittima diretta in un confronto armato fra albanesi e soldati della Nato. Ieri, per la prima volta dall'inizio dei disordini, non si sono ripetuti scontri di piazza. I raduni organizzati a Peje e a Decani (nel Kosovo occidentale) si sono svolti in modo pacifico. Da vari paesi europei stanno confluendo i rinforzi militari richiesti dalla Kfor: 120 paracadutisti della Folgore sono giunti all'aeroporto di Djakova, mentre ai 70 carabinieri di venerdì, se ne aggiungeranno altri 60 il cui arrivo è previsto per le prossime ore. Via via il nostro contingente sarà incrementato, come ha confermato il sottosegretario alla Difesa Berselli. Infatti è salito a 3 mila il numero di militari che la Nato sta mobilitando in queste ore per contribuire a riportare la calma nel Kosovo squassato da nuove violenze interetniche. Più di 500 sono italiani. I nostri carabinieri ieri per la prima volta hanno assunto il controllo di uno dei due principali ponti di Mitrovica, che è rimasta per l'intera giornata l'unica zona ad alta tensione. La presenza del cecchino localizzato e ucciso dai militari fa temere che ve ne siano altri annidati fra i palazzi del centro. Un timore, non si sa quanto fondato, che ha contagiato anche Pristina, dove soprattutto i rappresentanti internazionali si muovono con grande circospezione: «C'è paura - confida un diplomatico - è come se qualcosa nel rapporto fra noi e la popolazione si fosse rotto». L'altra notte un grande incendio ha devastato la principale chiesa ortodossa del capoluogo, quindicesimo luogo di culto investito e distrutto da questa ondata antiserba, nel corso della quale sono state date ugualmente alle fiamme 110 abitazioni serbe. Una violenza criticata con toni durissimi anche da Ismail Kadarè, scrittore albanese più volte candidato al premio Nobel per la letteratura: «È fondamentale - ha detto - che oggi gli albanesi capiscano che hanno commesso un errore intollerabile e quasi irreparabile quando hanno assaltato le case dei serbi». Si muove anche la politica italia. La situazione in Kosovo è stata al centro del colloquio tra il presidente della Camera Casini e quello del COnsiglio Berlusconi: il governo riferirà della situazione mercoledì prossimo.

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