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Intini: solo «tattiche» le nostre divisioni

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Alcuni sono per il ritiro subito, altri aspettano la «copertura» dell'Onu

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Questa la posizione di Ugo Intini, deputato dello Sdi ed ex-sottosegretario agli esteri del Governo Amato, che spiega a Il Tempo di comprendere la posizione degli alleati Verdi e Comunisti, ma nello stesso tempo che preferisce votare astenendosi sulla conversione del decreto che impegna i soldati italiani nelle missioni di pace all'estero. Onorevole Intini, ci spiega come state vivendo questa grave contraddizione nell'Ulivo sulla missione italiana in Iraq? «Penso che non si debba essere stupiti che ci siano diversità di vedute nell'opposizione, ma del fatto che nella maggioranza che sostiene il Governo Berlusconi sono tutti d'accordo. Non c'è destra di governo e di opposizione al mondo che sia d'accordo con la politica di Bush in Iraq, che è contestata da larghissimi settori delle forze di destra nel mondo. Le divisioni nella sinistra non sono strategiche, ma tattiche. Tutti siamo d'accordo sul fatto che la guerra è stata un errore e che le truppe italiane non possono restare in Iraq in queste condizioni senza una "copertura internazionale". Il dissenso tattico consiste nel fatto che mentre alcuni fanno prevalere il principio che è bene ritirarsi subito, altri, come me, dicono che bisogna cercare la copertura internazionale e non ritirare domani i soldati». Scusi, ma la risoluzione 1511? Non ricorda che il Consiglio di sicurezza aveva stabilito all'unanimità che non ci sono scadenze per la transizione dei poteri dalle forze d'occupazione al popolo iracheno e non c'è conferimento all'Onu della gestione del dopoguerra? «La risoluzione 1511 è l'inizio di un percorso, ma fino a questo momento tutti i poteri sono nelle mani degli Usa che sono una potenza occupante. Abbiamo bisogno di una copertura delle Nazioni Unite, dell'Ue e di una internazionalizzazione della crisi». Ma il voto del Consiglio di sicurezza lo scorso 16 ottobre in seno alle Nazioni Unite è stato all'unanimità. «Sì, perché l'Onu per impegnarsi direttamente ha bisogno di avere un'autorità politica nella gestione della crisi». Ci spiega per quale motivo avete deciso di non votare come i comunisti e i Verdi nei due rami del Parlamento? «Non votiamo di no perché una forza di opposizione che si vuole presentare al Governo si deve comportare esattamente come si deve comportare se fosse alla guida del Paese». Allora pensa che gli alleati del centrosinistra che non votano come lei stiano sbagliando? «Hanno la tipica posizione di una sinistra, che io comprendo, che fa prevalere le ragioni di principio su quelle di politica». Quando era sottosegretario agli Esteri del Governo Amato ricorda che il centrosinistra abbia detto di no o si sia diviso su qualche missione all'estero delle truppe italiane? «Una parte del centrosinistra ha detto di no. Alla missione nei Balcani. Lo ha fatto Rifondazione comunista». Ma Rifondazione non sosteneva il Governo Amato. L'Ulivo che cosa aveva fatto in una circostanza simile? «Ha sempre detto di sì, sempre». Non è una contraddizione? «No, perché la guerra nei Balcani era perfettamente comprensibile e aveva una copertura della Nato. Questa è una guerra di cui non si capiscono le ragioni». Come voterà? «Mi asterro. Se fossi al senato abbandonerei l'aula».

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