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Divisi dalla Resistenza irakena

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Come vecchio collaboratore de «Il Tempo». Credo perfino che sia un po' un mio diritto, visto che da qualche giorno il mio nome figura, su molti organi di stampa, in contesti quanto meno imbarazzanti: e non senza equivoci forse non sempre innocenti. Il 13 dicembre 2003 si svolgerà a Roma, se non sarà proibita, una manifestazione in favore di quella che i suoi promotori hanno definito «Resistenza irakena». Una definizione che giustamente fa discutere: nella guerriglia attiva in Iraq nei confronti della coalizione occupante, che ha coinvolto anche reparti presenti nel nome del peacekeeping, molti osservatori e buona parte dell'opinione pubblica scorge solo l'attività di residui gruppi saddamisti o quella delle centrali terroristiche. La manifestazione è stata promossa alcune settimane or sono da esponenti del cosiddetto «Campo antimperialista»: un ambiente dalle opinioni politiche prevalenti alquanto discoste dalle mie, che peraltro non s'identificano perfettamente con quelle di alcun partito politico. Non ho d'altronde mai nascosto le mie propensioni vicine ad alcune forze del centrodestra, segnatamente AN e UCD-CCD. Invitato a farlo, ho accettato di aderire alla manifestazione. Il tristissimo episodio di Nassiriya ha d'altronde provocato, credo tra molti che come me avevano accettato di appoggiare l'evento programmato per il 13 dicembre, un comprensibile disagio: è lecito manifestare solidarietà per un movimento nel contesto del quale sono stati uccisi alcuni nostri soldati, al di là del giudizio - contestabile certo, ma comunque ritengo giustificabile - di legittimità che di tale movimento è possibile dare? A complicare questo già preoccupante quadro hanno provveduto le dichiarazioni di alcuni fra i sostenitori della manifestazioni prossima: si è andati da apprezzamenti offensivi nei confronti dei nostri caduti alla proposta di una raccolta di danaro per sostenere la resistenza irakena al tentativo di presentare come politicamente orientata a sinistra una manifestazione che dovrebbe viceversa essere unitaria fino all'ipotesi che la bandiera italiana non dovesse figurare durante la manifestazione in quanto «insegna di uno stato aggressore». È ovvio che posizioni del genere non possono essere condivise. Gli organizzatori della giornata del 13 dicembre hanno rassicurato esplicitamente me ed altri che come me avevano aderito all'iniziativa che nessuna di esse caratterizzerà quell'evento. Confidando nella loro parola, mantengo la mia adesione: va da sé che in eventi del genere disordini e provocazioni sono sempre possibili, ma accetto di correre il rischio. A questo punto credo sia necessario chiarire ai lettori de «Il Tempo» la natura, il carattere e i limiti della mia scelta. Alle due crisi successive e tra loro legate, l'afghana e l'irakena, ho dedicato in due anni ben tre libri: La paura e l'arroganza (Laterza), I cantori della guerra giusta (Il Cerchio) e Astrea e i Titani (Laterza). Ho quindi cercato di seguire gli eventi attuali con molta attenzione: e con molta onestà. Mi sono creato la ferma convinzione - che, intendiamoci, può corrispondere a un'idea sbagliatissima: ne sono consapevole - che l'aggressione unilaterale statunitense (con pochi alleati) all'Iraq sia stata un atto illegittimo sotto il profilo del diritto e inopportuno sotto quello della politica; che sia stato premeditato sulla base di accuse menzognere e di false prove e che abbia come scopo una ridefinizione dei rapporti di forza nel mondo a vantaggio non tanto degli USA quanto di alcune multinazionali di cui il governo Bush è «comitato d'affari». Avevo inoltre previsto, soprattutto nel terzo dei miei libri or ora citati, che l'aggressione statunitense avrebbe provocato nel mondo arabo e musulmano una sciagurata risposta e un indurirsi della lotta terroristica. Ritrengo tuttavia che nell'Iraq attuale, insieme con la prevedibile guerriglia dei residui fedeli di Saddam e con l'azione di gruppi terroristici di varia natura, lo scandalo e la rabbia provocato dall'aggressione stat

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