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Su Telekom Serbia confronto terribile Marini-Paoletti Dopo dieci ore secretati gli atti sulle due verità: si è discusso duramente di argomenti delicatissimi

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Ma non è finita: il faccia a faccia nel carcere delle Vallette tra Igor Marini e Fabrizio Paoletti, sospeso dopo dieci ore, riprende oggi. Il procacciatore d'affari, che si pone come testimone-chiave dell'inchiesta su Telekom Serbia, e l'avvocato civilista romano si sono ritrovati l'uno di fronte all'altro nella «Sala magistrati» del carcere torinese per il confronto voluto dai Pm subalpini: confronto lunghissimo, serrato, nel quale i due, una volta compagni di ventura, si sono affrontati in uno scenario fatto di titoli internazionali, garanzie ipotecarie, rubini da 320 carati, sullo sfondo rappresentato dall'operazione che nel 1997 portò Telecom Italia ad acquisire una quota della compagnia telefonica jugoslava. «Argomenti delicatissimi» quelli trattati ed «è stato terribile», ha detto l'avvocato Luciano Randazzo, difensore di Marini, il colloquio che l'avvocato Titta Castagnino, legale di Paoletti, ha definito dai toni «non accesi». Ma sul contenuto è calata la secretazione degli atti: «Non posso rispondere a nessuna domanda», ha detto dal canto suo Paoletti all'uscita dal carcere. Marini parla apertamente di tangenti a esponenti politici italiani. Paoletti, invece, si è sempre detto all'oscuro di tutto. Al confronto erano presenti il procuratore capo Marcello Maddalena, i sostituti Paolo Storari e Roberto Furlan, i difensori Titta Castagnino e Luciano Randazzo. Marini (detenuto) e Paoletti (agli arresti domiciliari) sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e alla truffa insieme a due slavi latitanti, Zoran Persen e Rados Tomic e a un notaio, Gianluca Boscaro, deceduto nel 2002 in seguito a un incidente di volo con un deltaplano. Al centro vi è un complicato traffico di titoli internazionali. Marini afferma che quelle operazioni (portate avanti dal 2000 al 2002) servivano a far rientrare in Italia i soldi della maxitangente Telekom Serbia, destinati a personaggi quali Prodi, Fassino e Dini. Tra queste spiccano due manovre. La prima ruota attorno a una garanzia bancaria indonesiana da 50 milioni di dollari, che secondo Marini permetteva, una volta incassata da lui, di svincolare i capitali serbi verso l'Italia. La seconda è un safe-keeping (un certificato di possesso) di un rubino del valore di 32 milioni di dollari. Di questi, otto milioni, sempre secondo il procacciatore d'affari, erano il compenso per un misterioso jugoslavo con frequentazioni in Vaticano, che doveva garantire la supervalutazione della compagnia telefonica serba e quindi un «surplus» per la provvista di denaro nero. Negli interrogatori resi ai Pm torinesi, il procacciatore di affari ha affermato che per aver tentato di sottrarsi venne minacciato dai serbi e intimidito da un collega, che per fargli capire il livello dei personaggi con i quali stava trattando gli mostrò un ritaglio di giornale con la fotografia della moglie di Dini. Ha anche detto che quando cercò di parlare di Telekom Serbia con la dottoressa Barborini della Procura di Roma questa lo stoppò dicendo: «Marini, si vuol fare ammazzare?». Adesso il magistrato lo ha denunciato per calunnia a Perugia.

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