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«Una gigatesca opera di corruzione»

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I difensori di Previti: «È innocente. Congetture e illazioni trasformate in prove»

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I giudici della quarta sezione del Tribunale di Milano usano parole durissime per motivare le sentenze di condanna pronunciate il 19 aprile scorso nei confronti di Cesare Previti e degli altri imputati. Parole raccolte nelle 620 pagine di motivazioni, un lungo lavoro di ricostruzione di quasi tre di processo, tempi «sicuramente poco compatibili» con il dettato della Costituzione sulla ragionevole durata del dibattimento, ma che, scrive il Tribunale, è stato utilizzato «per studiare in modo approfondito l'enorme materiale processuale». Proprio per questo, i giudici liquidano come «leggenda» le accuse di aver occultato documenti favorevoli agli imputati. Perchè, è la conclusione, «la sentenza è basata su precise prove » e solo quelle hanno permesso di affermare che «la causa civile Imi-Sir fu tutta frutto di una gigantesca opera di corruzione» con «analogie impressionanti» con la causa Mondadori. Nel passo centrale delle loro motivazioni Paolo Carfì, Enrico Consolandi e Luisa Balzarotti scrivono che quella giudicata è «la più grande corruzione nella storia dell'Italia Repubblicana e forse anche di più», riferendosi direttamente alle parole pronunciate dallo stesso Previti nel corso di uno dei primi interrogatori. Durissimo il giudizio riservato agli imputati, colpevoli «di un caso di corruzione devastante» perchè «tocca uno dei gangli vitali di uno stato democratico: quello dell'imparzialità della giurisdizione». Nello specifico della vicenda Imi-Sir, le tangenti pagate per aggiustare le sentenze che condannarono l'istituto bancario Imi a risarcire 670 miliardi agli eredi del finanziere Nino Rovelli, viene spiegato che la corruzione «si è spinta fino al punto di concordare» sia «la preventiva decisione della controversia» che «la conseguente stesura della motivazione della sentenza d'appello». Corruzione eletta «a vero e proprio sistema di vita» secondo il Tribunale, metodo attraverso il quale «quella ricchezza materiale evidentemente mai sufficiente». L'esistenza di prove decisive e documentali viene ribadita anche per la vicenda del Lodo Mondadori dove, in alcuni passaggi delle motivazioni, compare anche il nome di Silvio Berlusconi citato in tutto per 27 volte pur essendo uscito dal processo per sopravvenuta prescrizione. Viene ricordato soprattutto il pagamento effettuato nel '91 dalla Fininvest (conto All Iberian) a Previti (conto Mercier) che i diretti interessati avevano giustificato come 'parcellà per le prestazioni professionali di una vita. In realtà, scrive il Tribunale, la somma deve essere ritenuta «una provvista pagata dalla Fininvest di Silvio Berlusconi per regolare rapporti di natura illecita strettamente connessi alla causa Mondadori». Un capitolo viene riservato, infine, al comportamento processuale degli imputati, definito «a dir poco pessimo, volto a negare qualsiasi circostanza, anche la più evidente»; ecco spiegato il rifiuto di concedere le attenuati generiche invocate dalle difese. Polemico il commento dei legali di Previti, Giorgio Perrone e Alessandro Sammarco, «è sufficiente anche una lettura superficiale per confermare la convinzione che il nostro assistito è totalmente innocente», vittima di accuse che altro non sono che «una gigantesca concatenazione di illazioni, congetture, sospetti assurdamente quanto indebitamente trasformati in prove».

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