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La Lega insiste: no all'interesse nazionale

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I lumbard non vogliono la dicitura nella riforma federalista e contestano il testo La Loggia

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In Italia però continuano i contrasti fra la Lega e gli alleati della maggioranza. Il problema, per ora, quello della devolution, e si discute è la dizione «interesse nazionale», che il carroccio non vuole sancito nell'ambito della riforma federalista. La Lega ieri sul giornale di partito pubblica la «road map» concordata da Berlusconi e da Bossi (in attesa ora del via libera di Fini e Follini) e lo stesso leader lumbard si incarica di spiegare: devoluzione significa la rapida approvazione del disegno di legge già approvato da Camera e Senato in prima lettura. Ma An e Udc vogliono che questa riforma sia accompagnata dalla revisione del Titolo V della Costituzione proposta dal ministro Enrico La Loggia, e che sia comunque difesa, nel momento in cui si introduce il federalismo, l'unità nazionale. «La devolution è nell'accordo di governo», spiega il capo di gabinetto di Bossi Francesco Speroni, «An e Udc l'hanno già approvata una volta in Parlamento senza le integrazioni sull'interesse nazionale, le norme su Roma, ed altri orpelli. Il disegno di legge La Loggia, invece, non è nel patto di governo». «La Lega si attiene a questo patto, se altri lo vogliono modificare è a Berlusconi che devono rivolgersi», aggiunge Speroni. «L'interesse nazionale è un grimaldello con cui qualsiasi governo futuro, di destra o di sinistra, può scardinare il federalismo», aggiunge il presidente del Veneto Giancarlo Galan. An e Udc, però, non intendono fare marcia indietro sulla clausola dell'interesse nazionale. Sono disposti invece a ridisegnare la riforma in un progetto complessivo che contenga, spiega il ministro Rocco Buttiglione, «il Senato federale, e che faccia il punto di sintesi dell'interesse delle Regioni e di quello dello Stato, in un interesse nazionale federale complessivo». E chiarisce, comunque: «No a una devoluzione senza interesse nazionale». La Loggia è pronto a superare il suo disegno di legge a patto di far confluire la devolution in una grande riforma che affronti anche il premierato forte e la nuova Corte costituzionale, dove «si può senz'altro pensare a una ridefinizione e a una migliore collocazione dell'interesse nazionale, che significa assicurare, nell'unità del paese, uguali diritti a tutti i cittadini». E se il portavoce di Forza Italia Sandro Bondi sembra convinto che la verifica si chiuderà «con una stretta di mano, senza la necessità di firmare documenti», sia il capogruppo leghista alla Camera Alessandro Cè che quello dell'Udc Luca Volontè sollecitano invece con forza un summit dei leader per stabilire collegialmente gli impegni degli alleati.

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