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Chico Forti, Tacopina smonta le teorie della sinistra: “Nessuna critica negli Usa sul rientro”

Rita Cavallaro
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Non c'è alcun caso diplomatico né irritazione a Washington, nei confronti dell’Italia, per la gestione del rientro di Chico Forti. L’unica irritazione, intesa come un certo prurito tendente al disgusto, è quella provocata dal clima d’odio, creato ad arte dalla sinistra verso un uomo che ha passato 24 anni in un carcere di massima sicurezza. Chico Forti, rientrato in Italia grazie alla credibilità internazionale del premier Giorgia Meloni, è una vittima sacrificale in tempi di propaganda. L’assassino da sbattere in prima pagina per colpire il centrodestra nella corsa all’ultimo voto per le Europee. Una lotta senza quartiere, in cui vale tutto, anche passare con i piedi sulle sofferenze di un uomo che, la stessa sinistra, aveva tentato senza successo di riportare a casa. Questa ignominia è esclusivamente italiana e di Chico Forti, alla Casa Bianca, se ne stanno infischiando altamente.

 

 

È vero che è più memorabile per i giornali di sinistra far passare l’immagine del presidente Joe Biden inferocito mentre discute nella Sala Ovale, perché aveva chiesto sobrietà e invece l’accoglienza di Chico a Roma da parte della premier sarebbe stata uno spettacolo. Memorabile, ma pur sempre una fake news. D’altronde in questi giorni il caso Forti, in Usa, sta avendo lo stesso mood degli ultimi venticinque anni: ignorato. «Ho sentito parlare delle controversie riguardanti il ritorno di Chico Forti in Italia. Tuttavia, ho incontrato queste controversie solo nei media italiani. Qui negli Stati Uniti, non si è parlato di nulla», ha confermato l'avvocato americano di Forti, Joe Tacopina. Il legale, tra i principali artefici dell'accordo tra Roma e Washington per il trasferimento del detenuto dalla Florida alle patrie galere, ha chiarito che «Chico Forti doveva tornare in Italia in conformità della Convenzione di Strasburgo del 1983 e in conformità dell’accordo tra i governi degli Stati Uniti e dell’Italia». Tacopina garantisce che «non c’è stato nessun imbarazzo. Tutto ciò che è stato fatto, è stato fatto nel pieno rispetto dei protocolli stabiliti».

 

 

L’avvocato non è potuto andare oltre, perché alcuni dettagli dell’accordo sono coperti dal riserbo tra i due Stati, ma che la scelta del presidente del Consiglio di accogliere Forti sia stata ponderata, per non dire tacitamente condivisa oltreoceano, lo si può intuire dai dettagli che certificano un rapporto privilegiato tra Meloni e Biden. Indimenticabile la foto che ritrae l'uomo più potente del mondo baciare sulla fronte la donna più potente d'Italia. Senza contare la credibilità internazionale del nostro Paese, che dal primo gennaio scorso ha assunto la presidenza del G7. Sui tavoli dell’alleanza atlantica ci sono dossier delicati e le sorti del mondo, sull’orlo della terza guerra mondiale e con scenari bellici aperti nelle zone più calde. C'è lo scontro tra l’Occidente e l'Islam, una battaglia di civiltà che comporta una comunione di intenti ancora più stretta. E non c'è Chico Forti, l’italiano condannato all’ergastolo senza libertà condizionale non in quanto assassino, ma in quanto cospiratore nell’omicidio di Dale Pike, ucciso il 15 febbraio 1998. In un altro tempo, in un'altra America, che teneva le redini del mondo prima che la Cina alzasse la testa. Nell’America di oggi, come è stato accolto Chico, non conta.

 

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