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Filippo Turetta, Crepet: ma quale patriarcato, il "figliarcato" è più palese

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La storia di Giulia Cecchettin ha acceso un faro sul problema della violenza di genere. Lo psichiatra Paolo Crepet, fin dalla notizia della morte della 22enne veneta, è apparso in tv per parlarne e per offrire un'analisi approfondita sui giovani e sulla loro educazione. In un'intervista concessa a La gazzetta del mezzogiorno, il saggista è tornato a commentare la vicenda che è balzata agli onori di cronaca e la decisione della famiglia della vittima di esporsi. "Sappiamo che lo sconcerto, anche la rabbia sociale che ci possono essere all’indomani di un’ingiustizia, sono cose buone e giuste. Il problema è capire che cosa fai per mantenere quel fuoco di interesse, di indignazione. Ci si avvale di eventi: il funerale, l’ospitata da Fazio, poi ci sarà la cerimonia di laurea a memoria. Si parla dell’istituzione di una fondazione, che può fare molto localmente e basta. Tutto quello che c’è da fare poi riguarda in parte le leggi dello Stato, ma anche questo è già stato fatto. Non so cosa ci si possa aspettare di più, se non un lento, complicato avanzamento delle nostre critiche", ha affermato Crepet. 

 

 

Sulle accuse di sovraesposizione mediatica avanzate al padre di Giulia, Gino, lo psichiatra è stato netto: "Chi usa questo tipo di critica secondo me fa solo del cattivo gusto. Nessuno dovrebbe giudicare il fatto che quest’uomo abbia parlato al funerale o che sia andato in una nota trasmissione". A Crepet è stato chiesto allora qual è, però, il rischio di far sentire la propria voce su un tema così complicato: "Quello della solitudine. Il rischio che quando si spegne il clamore dell’attenzione mediatica rimani solo. Lui rimane solo così come sua figlia", ha risposto. Per il saggista, parlare erroneamente di patriarcato non è la scelta giusta da compiere: "Noi abbiamo parlato più o meno a proposito o a sproposito di patriarcato. Io non ho sentito nominare un altro fenomeno che è invece più palese, che è il 'figliarcato'. Se ne parla poco perché non ci piace ma è così. È l’assenza di un padre, a ben vedere, più che la presenza, il fatto rilevante, e soprattutto, dal punto di vista culturale, la “'fiigliocrazia', cioè una democrazia basata sui figli", ha concluso. 

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