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Emergenza migranti, la missione di Giorgia Meloni in Tunisia.

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Una visita lampo per discutere di relazioni bilaterali e collaborazione energetica, ma soprattutto del contrasto all’immigrazione clandestina e del negoziato in fase di stallo tra Tunisi e Fondo Monetario Internazionale. La missione di Giorgia Meloni in Tunisia dura appena 5 ore ma permette alla premier di confermare al presidente della Repubblica, Kais Saied, «il sostegno dell’Italia a 360 gradi». Un sostegno che il governo di Roma, «nel pieno rispetto della sovranità tunisina» sottolinea il presidente del Consiglio, si traduce anche negli «sforzi che un Paese amico come l’Italia sta facendo per cercare di arrivare a una positiva conclusione dell’accordo» col Fmi, che resta «fondamentale per un rafforzamento e una piena ripresa del Paese».

L’obiettivo resta quello di sbloccare il prestito da 1,9 miliardi che potrebbe scongiurare il default economico del Paese nordafricano ma la strada appare più che in salita. Saied infatti ha rinnovato il suo rifiuto «di ogni diktat» del Fmi, osservando che «chi fornisce ricette già pronte è come un medico che scrive una ricetta prima di diagnosticare una malattia». Medicine che, ha aggiunto, «non fanno sperare nel benessere e con le quali non si può ottenere alcuna cura, anzi esploderanno condizioni che non intaccheranno solo la pace civile in Tunisia ma interesseranno l’intera regione senza eccezioni». Il terreno di scontro riguarda le riforme richieste a Tunisi per accedere al prestito, con l’Italia in campo per sbloccare l’impasse. Lo ribadisce anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, rimasto per oltre 40 minuti a colloquio con Meloni al suo rientro a Roma a margine della presentazione della candidatura italiana per l’Einstein Telescope. «Vediamo cosa si può fare per aiutare il Paese - le parole del vicepremier - Bisogna far capire a livello europeo e del Fmi che bisogna avviare una trattativa. Non si possono chiedere le riforme, che loro vogliono anche fare, chiedendo di togliere per esempio i sussidi al pane perché diventa una situazione veramente complicata. Quindi bisogna accompagnare i finanziamenti con le riforme, una situazione di equilibrio». Tajani ne discuterà la prossima settimana a Washington col direttore del Fmi, Kristalina Georgieva, e con il segretario di Stato americano, Antony Blinken. «C’è un sottile lavoro diplomatico - confessa il titolare della Farnesina -. Bisogna vedere se si può sbloccare il finanziamento da parte del Fmi con un accordo. I tunisini chiedono di avere finanziamenti e poi di partire con le riforme».

Gli sforzi italiani, ricorda poi Meloni, sono in atto anche a livello di Unione europea per aumentare il sostegno alla Tunisia sia nel settore del contrasto all’immigrazione illegale, «ma anche per un pacchetto di finanziamenti a cui sta lavorando Bruxelles». Ecco perché, «per accelerare l’attuazione di questo pacchetto dell’Ue», la premier si è resa disponibile «a tornare presto» in Tunisia «anche assieme alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen». D’altronde per Meloni «la stabilizzazione del quadro politico in Tunisia è indispensabile anche per l’Italia». E questo perché c’è il rischio di dover fare i conti con un’ondata di migranti ancor più consistente di quella attuale se la situazione dovesse precipitare. Per questo, evidenzia, «è fondamentale rafforzare la cooperazione tra Tunisi e Roma in tema di contrasto alla migrazione irregolare. Abbiamo fatto fin qui un ottimo lavoro insieme, gli sbarchi in Italia rispetto a marzo e aprile sono sensibilmente diminuiti nel mese di maggio». Il presidente del Consiglio non nasconde però il timore in vista dell’estate perché «siamo di fronte alla stagione più difficile e non possiamo che essere preoccupati per i prossimi mesi». «Riteniamo che si debba intensificare il nostro lavoro comune» è il messaggio per Saied, con cui Meloni discute anche dell’ipotesi di una conferenza internazionale a Roma sul tema della migrazione e dello sviluppo. Un evento che dovrebbe riunire le nazioni della sponda Sud del Mediterraneo, del Medioriente, i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, «per rinnovare l’impegno comune ad affrontare i fattori politici, ma anche socio-economici, climatici, che determinano la migrazione».

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