
Primo maggio, il tema del lavoro è una cosa seria. Il Concertone no

Il Primo maggio ormai è la festa del concertone, dei messaggi buoni per allestire un po’ di propaganda a sinistra e nel sindacato. Tutta fuffa. Non c’è niente che resti nell’agenda politica e lo dimostrerà il quorum (scarso) con cui gli italiani giudicheranno i quesiti promossi dai sindacati, dalla sinistra e dal Movimento Cinquestelle. Eppure il tema del lavoro è imponente ed è maledettamente politico perché include questioni di elevata densità. Non ci sono dibattiti, riflessioni, tesi che conducano a proposte scritte. La questione salariale, con la sua inadeguatezza rispetto agli shock di questo tempo, sarà un macigno che sfonderà la rete tra cittadini e partiti politici. Ma ne è solo una parte, poiché oltre al poco di oggi c’è da fare i conti con il nulla del domani, nel senso che il nuovo mondo ad alta densità tecnologica tende e tenderà ad escludere figure professionali e lavorative in percentuali che già oggi dovrebbero allarmare. Il sindacato non capì un decennio fa cosa stava dietro la gig economy e oggi non capisce l’impatto che avrà l’andatura con cui nelle economie sono entrati l’intelligenza artificiale e i robot.
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Oggi si afferma che la destra subisce il fascino di nuovi “eroi” della Silicon Valley ma la seconda generazione non è nient’altro che la evoluzione paradigmatica imposta dalla prima, ossia dai Bill Gates, Tim Cook, Sundar Pichai, ai quali il fronte democratico e riformista aveva concesso tutto. In America e fuori. Ora, il tema di questo nuovo paradigma non impatta soltanto su aspetti etici e morali sui limiti e sui confini entro i quali si deve muovere l’intelligenza artificiale ma avvolge enormemente anche il lavoro e i salari. Il maggior impiego di queste frontiere ridurrà se non addirittura espellerà i lavoratori, riducendo gli spazi di formazione e di assunzione. Qui il tema non è la ribellione dei luddisti - anzi chi aziona tale leva dimostra la scarsa conoscenza della questione ma l’evoluzione del lavoro e più ancora dei lavoratori. Un bel libro di Martin Ford - il futuro senza lavoro - analizza in maniera scientifica e non ideologica l’impatto tra uomo e macchine e già nella copertina si esplicita come l’evoluzione tecnologica estrometterà le persone, le quali rimarranno coi loro debiti e le loro frustrazioni.
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Il sindacato è invecchiato dentro i suoi stessi riti, riti come il concertone che pare l’orchestrina del Titanic: Landini e soci cantano la stessa canzone perché ambiscono a mettersi sul solco di quei sindacalisti che diventano parlamentari. La raccolta delle firme è stata una prova che si è esaurita nella bolla del posizionamento politico interno, ma il referendum è fuori da quell’ecosistema. Sul futuro del lavoro bisogna ragionare adesso e aprire alla considerazione che non si salva nessuno. Ultima questione. La frontiera della modernità fa rivivere vecchi fantasmi: gli schiavi delle miniere di terre rare e gli schiavi di coloro che lavorano nella catena di montaggio della I.A. Ne riparleremo.
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