
Trump, un futuro più luminoso di quel ci aspettiamo

Come lo shock trumpiano potrebbe rivelarsi una medicina benefica per l'Occidente
Trump è un uomo di affari, sogna più business, non meno, e vuole un mondo più ricco, per gli americani e non solo. Dopo decenni di declino della manifattura, Trump vuole riportare l’industria in America, il suo vero nemico non è l’Europa (a cui accorda tariffe simboliche al 10 percento) ma la Cina (destinataria di barriere al 125 percento). Trump rivendica di difendere «Main Street, non Wall Street», vale a dire il mondo dei piccoli imprenditori ed esercenti che di solito pullulano sulle vie principali delle cittadine americane, ma è chiaro che il tycoon, cresciuto a hot dog e business, non ha alcuna intenzione di portare il Paese in recessione o di fare la guerra ai banchieri e alle Big Tech che lo sostengono. Trump, con l’Europa, vuole negoziare, del resto il disavanzo della bilancia commerciale Usa è un dato di fatto con cui fare i conti. Per trattare da una posizione di forza, il commander-in-chief sgancia la bomba dei dazi al 20 per cento, provoca uno tsunami di reazioni, il tonfo delle Borse e un’agitazione palpabile, poi sul più bello dice: sediamoci al tavolo, in fondo parlarsi è bello.
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I dazi sono la pistola sul tavolo di trattative che Trump non intende condurre certo con Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue a cui Trump non riconosce una legittimazione democratica. L’Europa, per il presidente Usa, è un’espressione geografica, non un interlocutore credibile né un soggetto politico coeso. Perciò, il 17 aprile, a Washington, Trump incontrerà Giorgia Meloni, una donna «fantastica», ipse dixit, la leader di un Paese fondatore dell’Ue, terza economia del Vecchio Continente. A Meloni lo lega un rapporto di amicizia e stima reciproca, a lei riconosce doti di leadership, un’intesa che è anche di valori e idee essendo entrambi parte della famiglia dei conservatori. Meloni non ha un mandato ufficiale dell’Europa, certo, ma la politica si muove su binari diversi. Come ha spiegato Arthur Laffer, guru economico di Ronald Reagan, se i dazi saranno uno strumento temporaneo per favorire le trattative, nel lungo periodo potremmo beneficiare degli effetti di un mondo con meno dazi e barriere.
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Che cosa chiedono gli Usa all’Europa? Di stare dalla parte di Washington e non di Pechino. Di agevolare l’attività delle aziende americane in Europa, di eliminare la montagna di folli regolamentazioni che danneggiano anche le stesse aziende europee. Dal Green deal all’antitrust, dalla privacy ai servizi digitali, gli Usa dicono all’Europa: create un ambiente market-friendly. Per queste ragioni, lo shock trumpiano potrebbe rivelarsi una medicina amara ma benefica. Giorgia Meloni ha usato l’espressione «zero per zero», basta con dazi e barriere tra le due sponde dell’Atlantico, e questa formula potrebbe ridisegnare gli equilibri di un Occidente forte e unito. Con questo spirito, già testimoniato dalla sospensione dei «controdazi» europei, il futuro potrebbe essere più luminoso di quanto immaginiamo.
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