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Il “peccato” di Israele e quella sinistra in crisi d'identità che si vergogna dell'Occidente

Roberto Arditti
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L’attualità del giorno della memoria c’è eccome, ma per ragioni diverse da quelle evidenziate da Liliana Segre. Credo cioè che non si debba tanto restare con lo sguardo al passato (la storia avanza, inevitabilmente allontana i ricordi e appanna le emozioni), perché è la situazione al tempo presente a fornirci una discriminante fondamentale: l’atteggiamento verso Israele e la sua sfida di sopravvivenza. E qui il tema diventa tutto politico, perché a sinistra si dovrebbe ragionare di più su una coincidenza temporale sostanzialmente perfetta, oltre che assai significativa. C’è infatti piena sovrapposizione tra il tempo (diciamo gli ultimi dieci anni) in cui a scegliere di stare dalla parte d’Israele è sempre più spesso la destra (in Europa ma anche fuori, dagli Stati Uniti all’Argentina) e la drastica riduzione dei consensi elettorali per le forze di sinistra, visibile in moltissimi paesi del Vecchio Continente. Perché succede tutto questo? E ancora, come ci si è arrivati? Succede tutto questo perché la sinistra ha un serio problema con la nostra identità occidentale, perché la considera un elemento deteriore, una vergogna indifendibile (leggi alla voce colonialismo), un relitto del passato da annegare in un futuro globale in cui l’uomo bianco dovrà espiare i suoi peccati.

 

 

In questo “brodo culturale” crescono generazioni di attivisti e dirigenti politici e sindacali (ma anche esponenti della cultura, della scuola e dei media), formando così un’armata pronta allo scontro dialettico: ogni reazione israeliana è comunque spropositata, la causa palestinese (anche quando sventolata sui vessilli di morte di Hamas) è comunque il bene supremo, l’Iran è vittima delle sanzioni, gli americani dovrebbero staccare la spina a quel macellaio di Netanyahu, il principe Bin Salman è l’assassino di Khashoggi. Una lettura che parte sempre negando il punto fondamentale, attuale come non mai: Israele siamo noi, noi con le nostre regole di convivenza democratica, noi che sentiamo di appartenere ad una comunità, una storia, una dimensione spirituale e religiosa. Insomma una idea della vita.

 

 

Questo Occidente (con i suoi pregi e difetti) può essere criticato (e nessuno l’ha fatto più degli occidentali stessi, si pensi al cinema, la letteratura, l’arte in generale), ma non può essere considerato l’elemento da abbattere, attraverso la rivoluzione o la conquista (ecco la saldatura tra sinistra estrema e fondamentalismo islamico). Se lo vuoi distruggere allora vuol dire che stai giocando un’altra partita, che comprende l’invasione per via migratoria. Qui la sinistra (non tutta per carità) smarrisce il suo senso del presente, diventando funzionale ad un progetto di annientamento. Il giorno della memoria ci dice da dove veniamo, ma deve anche aiutarci a decidere dove vogliamo andare.

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