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Libia, ora apriamo gli occhi: serve trattare e diventare adulti

Roberto Arditti
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Dai che forse ce la facciamo a diventare una nazione adulta, dove l’interesse nazionale è roba seria, gestita delle istituzioni non applicando il Manuale delle Giovani Marmotte ma le dure e ciniche regole delle relazioni internazionali. Dai che forse ristabiliamo anche l’equilibrio tra poteri dello Stato, visto che l’ordinanza della Corte d’Appello di Roma chiarisce con parole precise che l’arresto di Najeem Osema Almasri Habish doveva avvenire previa interlocuzione con il Governo (nello specifico il Ministero della Giustizia). Dai che forse riusciamo a ridare valore ad espressioni come quella usata dal Ministro Piantedosi nell’aula del Senato, quando parla di un provvedimento di rimpatrio eseguito per tutelare la «sicurezza dello Stato».

 

 

Stiamo dicendo che il generale libico è Biancaneve? No, non abbiamo ancora buttato il cervello alle ortiche. Il generale è un pezzo pregiato di una nomenclatura brutale che governa un angolo del mondo attraversato da tensioni violente, ricco a dismisura di risorse naturali, diviso in due fazioni (una a Ovest, l’altra a Est) che si guardano in cagnesco spesso ricorrendo alle armi. La Libia di oggi è uno dei posti più drammaticamente delicati del pianeta, bivio di rotte migratorie di mezzo continente africano: ballano interessi enormi, giocati con violenza nella lunga stagione del colonnello Gheddafi, giocati con violenza al cubo da allora in poi. Io non so quali accordi c’erano per il viaggio del generale in Italia (se c’erano), ma so che la pretesa di chiudere queste partite con le nobili ma «lunari» richieste di arresto della Corte Penale Internazionale è fuori dalla realtà. E siccome non c’è spazio al tempo presente per queste finezze, sono contento dell’esito di questa storia perché ci apre gli occhi e ci obbliga a ragionare da persone adulte e non da viziati adolescenti pronti a sventolare principi destinati a schiantarsi contro il muro della realtà.

 

 

È difficile capire che ci sono alcune centinaia di italiani che lavorano in Libia? È possibile ragionare sapendo che un pezzo importantissimo del sistema Italia (l’Eni) opera laggiù da decenni? Si riesce a comprendere che dalla Libia si può aprire il flusso dei migranti clandestini come fosse un rubinetto? Vogliamo giocare un ruolo nel Mediterraneo o lasciamo fare a Russia, Cina e Turchia? Dai, che forse ce la facciamo.

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