La Corte internazionale aggiusta il tiro, revoca di arresto con un'inchiesta credibile
Sprazzi di luce nella notte di un Occidente che fatica a vedere quello che dovrebbe avere visto da tempo: forze di primaria grandezza vogliono ridurlo all’impotenza, usando l‘annichilimento d’Israele come prova generale. Intervistato dal canale televisivo Kan il portavoce della Corte Penale Internazionale Fadi El Abdallah dice qualcosa di esplosivo, se riferito al dibattito che tanto ha appassionato le anime belle del pacifismo europeo, odi ovvio, se riferito alle regole che presiedono al funzionamento della Corte medesima: la richiesta di arresto può essere revocata se Israele mette in campo un’inchiesta credibile sui fatti accaduti.
E siccome la magistratura israeliana ha dimostrato in moltissimi casi di non fare sconti a nessuno (due ex prime ministri già condannati), ecco che gli annunci roboanti di due giorni fa cominciano a trovare anche in sede giuridica la via del buon senso: sarà il sistema giudiziario di Gerusalemme a valutare se vi sono stati reati, tanto è vero che proprio su questo punto si giocherà il ricorso che Israele presenterà contro il provvedimento abnorme di cui stiamo parlando. Sarebbe però miope e riduttivo limitare il ragionamento alle pieghe del diritto internazionale, anche perché, parlando fuori dai denti, proprio questa materia è giustamente condizionata dalle forze in campo, siano esse di carattere politico, militare o economico. Eccoci allora al nocciolo della questione. C’è uno schieramento che, pur con sensibilità diverse, sta lavorando per una soluzione in qualche modo pacifica.
Questo schieramento vede certamente all’opera l’Europa (non poco screditata, litigiosa e spesso inconcludente), gli Stati Uniti (soprattutto l’amministrazione entrante, con un Presidente che ha promesso di risolvere la questione innanzitutto ai propri elettori americani), alcune potenze dell’area desiderose di stabilità (Arabia Saudita in testa) e, contrariamente a quello che pensano molti dalle nostre parti (quasi tutti a sinistra), Israele, che dalla guerra ha moltissimo da perdere, essendo una nazione piccola e dedicata ad attività economiche che necessitano d’intensa attività internazionale, ovviamente messa in grave difficoltà dalla crescente insicurezza degli ultimi mesi.
Certo, Netanyahu ha ripreso il suo ruolo di leader, anche grazie alla durissima reazione messa in campo dopo il 7 ottobre, tanto verso Hamas a sud che verso Hezbollah a nord e, soprattutto, nei confronti dello sponsor di tutti i fenomeni di destabilizzazione dell’area, cioè l’Iran degli Ayatollah. Ma tutti sanno, compreso il Primo Ministro israeliano, che la condizione di guerra fa male alla nazione, ne logora lo spirito d’impresa, mette a dura prova le fasce più produttive, cioè i giovani, che devono combattere anziché lavorare nelle start-up. Quindi l’idea di Israele che tifa per la guerra è una totale fesseria. Tragica, ma pur sempre una fesseria. Il gioco si è fatto ancora più duro da quelle parti, lavorare per la pace richiede nervi saldi e muscoli d’acciaio. Pochi lo comprendono in giro per il mondo, pochissimi in Europa.