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Medio Oriente, quegli israeliani che non vogliono Hamas come vicino

Annalisa Chirico
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«Noi non possiamo parlare e pensare solo agli ostaggi senza pensare ai 9 milioni di israeliani», queste parole le ha pronunciate non un esponente della destra israeliana «guerrafondaia» a detta di molti, a pronunciarle è stato un padre a cui Hamas ha strappato il figlio lo scorso 7 ottobre. Nessuno sa che fine abbia fatto Eitan Mor, i terroristi lo hanno rapito e da allora non si hanno più notizie di questo coraggioso 23enne che lavorava come guardia di sicurezza al rave Supernova nel deserto del Negev. Eitan si è trovato nel mezzo della carneficina anti ebraica, si è trovato nel mezzo del più grave attentato terroristico degli ultimi vent’anni, ha assistito a scene da incubo nel corso di una autentica operazione genocida con tanto di caccia all’ebreo e con un terrificante stupro di massa. Eitan si è dato da fare per aiutare i feriti, e mentre tornava indietro per recuperare due persone, è stato catturato e portato via dai miliziani di Hamas. Ora parla suo padre, Zvika Mor, che almeno può continuare a sperare che il figlio sia ancora vivo (a differenza delle decine di genitori che hanno recuperato le salme mutilate o le teste mozzate dei figli). Zvika Mor prende le distanze dalle famiglie degli ostaggi che chiedono al governo una tregua subito, un accordo purchessia. «Dobbiamo portare a casa gli ostaggi, i nostri figli, i nostri cari – ha detto - ma non dobbiamo concludere un accordo con Hamas ad ogni costo, per evitare un altro 7 ottobre».

Contrariamente alla rappresentazione che molti media occidentali ne danno (in Italia e non solo), vi è un pezzo della società israeliana che, al di là della simpatia o antipatia per il premier Netanyahu, è risolutamente convinto che sia impossibile tornare alla coesistenza con la Striscia di Gaza sotto il dominio di Hamas. Questa realtà viene spesso taciuta per avvalorare l’immagine di un premier attaccato al potere al punto di proseguire la guerra per rinviare le elezioni. La testimonianza di questo padre invece dà voce a quanti ritengono che il modello pre-7 ottobre non sia più replicabile, per il semplice fatto che gli ebrei non si sentono più al sicuro. Il pogrom del 7 ottobre ha diffuso tra gli israeliani – di ogni età, di ogni ceto sociale, di ogni appartenenza politica - un senso di imprevista vulnerabilità alimentando la necessità di barriere difensive ancora più massicce nei confronti di un mondo – quello palestinese che non li ha mai accettati. Nel 2006 Hamas, a Gaza, vinse le elezioni. Dopo il 7 ottobre la gente scese in strada a Ramallah per festeggiare l’uccisione degli ebrei. Zvika Mor ricorda che nel 2011, per riportare a casa il soldato Gilad Shalit, furono liberati un migliaio di prigionieri palestinesi, incluso Sinwar, mente del massacro del 7 ottobre. Sorge una domanda: chi di noi vorrebbe vivere avendo come confinante un gruppo terroristico che già una volta ha violato le frontiere per ammazzare 1200 concittadini e rapirne oltre duecentocinquanta? La parabola di Netanyahu si concluderà come quella di ogni leader politico ma ciò non cambia di una virgola la minaccia esistenziale contro Israele. Le richieste di Hamas per un cessate il fuoco permanente (con il rilascio di millecinquecento prigionieri inclusi diversi pluriergastolani), sono, in una parola, irricevibili. L’unico futuro possibile per Gaza è senza Hamas.

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