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Crosetto, ecco tre consigli non richiesti al ministro

Domenico Giordano
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I consigli non richiesti rimangono quelli più fastidiosi, non fosse altro perché portano con sé una malcelata radice di presunzione, eppure, in alcune circostanze possono rivelarsi tra tutti quelli più sensati e utili. Così, prima di provare a darne qualcuno a Guido Crosetto, ministro della Difesa del governo Meloni, chiudo nel cassetto ogni residuo di supponenza per una materia assai scivolosa come è la comunicazione politica. Nei giorni scorsi, Crosetto si è azzuffato con diversi follower colpevoli di aver contestato un suo post, pubblicato nella tarda serata del 4 gennaio sull’account Instagram, e in particolare avevano polemizzato per le risposte postate dallo stesso Crosetto ad alcuni commenti più biliosi e faziosi. Il post della discordia non aveva alcun contenuto politico, né istituzionale tanto da poterlo definire secondo una classificazione ampiamente accettata, come «pop», quindi con un messaggio leggero, privato e personale. Eppure, nonostante il contenuto postato non avesse una carica strumentale, ha innescato un coinvolgimento diretto alquanto diffuso, tanto da diventare negli ultimi tre mesi il post più commentato tra quelli pubblicati sull’account del ministro.

 

 

Partiamo da un principio basilare: l’interazione con i follower ha una serie di vantaggi che non andrebbero mai trascurati, soprattutto quando si è dei politici che coltivano le idee per seminare l’orto del consenso. Innanzitutto, è coerente con la ratio generativa delle piattaforme, che nascono con il dogma della condivisione delle nostre vite, contribuisce al successo del canale perché i follower si sentono maggiormente coinvolti e protagonisti e, infine, quanto più cresce l’interazione tanto più aumenta la portata del contenuto pubblicato, cioè riesce a raggiungere un numero maggiore di utenti. Quindi, in linea teorica, se Crosetto fa bene a lanciarsi nelle repliche ai commenti dei follower che lo seguono sulle diverse piattaforme, c’è un primo consiglio che dovrebbe tenere a mente: non serve, alla sua reputazione digitale, se sceglie di farlo portando sulla tastiera e la bacheca il codice di Hammurabi. Cioè, adottando la legge del taglione nei confronti degli haters, perché l’odio si porta dietro altro odio e non contribuisce a ridurne la portata. Anche perché, prima di imbracciare la baionetta e l’elmetto e montare la guardia nella trincea dei social, va rammentato che gli haters sono e resteranno in numero ridotto. Sono sempre una percentuale minima, per non dire infinitesimale, dei follower e oltretutto di questi non hanno neanche la delega della rappresentanza. Anzi, come dimostrato da diversi studi, nella platea dei follower degli account più seguiti, c’è una larghissima maggioranza di utenti silenziosi che preferiscono non interagire per evitare di attirarsi le ire dei pochi haters della bolla.

 

 

Quindi, un secondo consiglio da mettere in agenda è quello di continuare a investire nei contenuti pop, perché a dispetto di qualche odiatore in cerca di visibilità, questi costituiscono una «risorsa civica, in grado di riconciliare lo spettatore-consumatore-cittadino con la politica, di raggiungere fasce sempre più ampie di cittadini lontani dalla politica» (Mazzoleni e Sfardini). Infine, per completare questo trittico di suggerimenti, c’è un terzo e conclusivo consiglio da fissare: quando si rivestono determinati ruoli istituzionali, maggiormente esposti, è opportuno lasciare allo staff social l’onere di tutte le pubblicazioni, senza alcuna eccezione, ma se proprio, come spesso capita a tanti politici e leader, si preferisce pubblicare in autonomia, allora è buona regola, prima di arrampicarsi nelle risposte, provare a comprendere se dietro ai commenti più pretestuosi ci sia o meno un follower a caccia di popolarità e di audience.

 

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