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Un altro 25 aprile da vivere in trincea. La sinistra non cambia mai

Riccardo Mazzoni
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«Eora c’è un discorso che Giorgia Meloni non può proprio sbagliare: quello che pronuncerà il 25 aprile». Ci risiamo: dopo Berlusconi, tocca a un altro premier di centrodestra passare dalle forche caudine della Liberazione per essere giudicata dal tribunale della sinistra, che alla fine la condannerà qualunque cosa dica. La pasionaria Schlein si è già messa in prima fila, come una tricoteuse, annunciando «un 25 aprile di lotta, una grande mobilitazione popolare contro chi vuole riscrivere la storia». Del resto, la cifra politica della sua segreteria per ora si è distinta soprattutto per la riappropriazione delle piazze come luogo principe dell’azione politica, e i cortei della Liberazione sono l’occasione propizia per rispargere il sale sulle ferite storiche che ci conferiscono il triste primato di nazione che non ha ancora uno straccio di memoria condivisa.

Ogni anno c’è un pretesto per trasformare il 25 aprile in una data divisiva: è successo perfino durante il lockdown e con Draghi alla guida di un governo di unità nazionale, con i contorcimenti dell’Anpi sulle colpe della guerra in Ucraina, figuriamoci ora che a Palazzo Chigi c’è una leader cresciuta nel Movimento sociale.

 

Gli scivoloni del presidente del Senato su via Rasella sono stati l’innesco ideale per la mobilitazione democratica, ma solo gli ipocriti fingono di non sapere che per la premier sarebbe scattato comunque il riflesso pavloviano della delegittimazione preventiva. Il tam-tam di avvicinamento all’ora x è già iniziato, con la richiesta già da ora di «parole di chiarezza», perché in caso contrario ci sarebbero conseguenze sul futuro del governo (addirittura!) e perfino sui rapporti fra Italia ed Europa. Alla premier si chiede di non eludere i nodi della storia che lei stessa (affermando che i martiri di via Rasella erano stati uccisi in quanto italiani) e i notabili del suo partito avrebbero rimesso in discussione.

 

Chi pensava dunque che il voto senza ombre del 25 settembre e il discorso della premier sulla fiducia avessero posto le basi per ritessere il filo di una memoria condivisa aveva preso purtroppo l’ennesimo abbaglio. Eppure le sue parole erano inequivocabili: «Non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici. Per nessun regime, fascismo compreso, e ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre». Meloni aveva anche condannato il rastrellamento del ghetto di Roma con parole altrettanto nette: «Il 16 ottobre 1943 è per Roma e per l’Italia una giornata tragica, buia e insanabile». Cos’altro dovrebbe dire la premier? Il profilo istituzionale dimostrato nei primi mesi di governo è la garanzia che il 25 aprile non sbaglierà nemmeno una virgola, ma questo non le servirà probabilmente a nulla. Per averne una conferma, basta tornare al 2009, quando sembrò prendere forma un’autentica pacificazione nazionale dopo il discorso di Berlusconi a Onna, nell’Abruzzo martoriato dal terremoto: il premier parlò- applauditissimo - col fazzoletto partigiano al collo, chiedendo di lasciarsi alle spalle i retaggi ideologici della Guerra Fredda e di approdare alla fisiologia democratica del riconoscimento reciproco. Piovvero consensi bipartisan, ma fu l’illusione di un momento, perché la tregua durò pochissimo e la caccia al Caimano riprese più forte di prima, con il combinato disposto della tenaglia giudiziaria e di una pesantissima offensiva politica e mediatica che culminò con le dimissioni del governo e co un girotondo festante davanti al Quirinale.

 

Non illudiamoci, dunque: per la Meloni gli esami non finiranno mai da parte di una sinistra che considera ancora il 25 aprile come suo feudo identitario ed esclusivo, piegando in questo modo la storia ai suoi interessi politici, con un’evidente regressione da quando Violante invitò a capire anche le ragioni dei «ragazzi di Salò» e poi a saldare il debito con gli esuli istriano-dalmati, dicendo la verità sull'orrore delle foibe. Ci aspetta un altro 25 aprile in trincea, come se l’Italia non avesse i problemi che ha.

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