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Ucraina, non fu la Russia a distruggere il Nord Stream

Gianluigi Paragone
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Dopo lo scoop del premio Pulitzer Seymour Hersh, secondo il quale a far saltare il gasdotto Nord Stream furono gli americani, ecco che il New York Times racconta di un report dell’intelligence Usa che dietro quel sabotaggio ci fu un gruppo di oppositori di Putin che agì autonomamente rispetto al governo di Kiev, come a dire che Zelensky non sapeva nulla. Noi, invece, così a naso di dubbi ne abbiamo parecchi. Innanzitutto vale la pena ricordare che all’indomani di quel gravissimo danneggiamento l’indice fu puntato su Putin, il quale avrebbe voluto punire la Germania e l’Europa per le sanzioni sempre più stringenti.

 

Ovviamente noi soliti rompiscatole accendemmo soltanto il cervello e lo collegammo al naso per fiutare la gran sola: perché mai la Russia avrebbe dovuto spezzare in maniera irreparabile un prezioso rubinetto energetico, fonte di guadagno certo e copioso utile ad alimentare la sua guerra all’Ucraina? Nessuno, suvvia. Putin continuava a dare gas, per quanto in misura ridotta (quello sì, perché comunque voleva provocare un danno all’economia europea, specie a quei Paesi maggiormente dipendenti dai suoi giacimenti) e se lo faceva pagare pure in rubli - reso possibile da un «by-pass» monetario nonostante disposizioni diverse arrivassero da Bruxelles e non solo. Anche l’Italia, nonostante Draghi negasse la cosa, pagava in rubli proprio per non perdere le forniture. Quindi, per farla breve, il presidente russo non aveva alcun interesse a danneggiare il gasdotto Nord Stream. A Putin servivano i soldi, tanti; a noi serviva il gas perché di punto in bianco non si poteva fare a meno del gas russo. Su questa minor dipendenza raggiunta e sbandierata oggi sappiamo anche che buona parte delle forniture «nuove» che ci danno i Paesi africani muove dai giacimenti siberiani e quindi siamo sempre lì, com’è normale che sia visto che in quelle zone ci sono i più ricchi giacimenti di gas naturale e di petrolio.

 

Torniamo dunque alla domanda: chi aveva interesse a far saltare il gasdotto? Non la Russia, nonostante la propaganda dei mesi scorsi; una propaganda talmente artefatta che infatti è stata silenziata: meglio non parlarne troppo. Il risultato in fondo era stato ottenuto: la Russia non poteva più esportare quel gas in Europa, quindi essere pagata; e gli Stati Uniti si ritrovarono in dote- che caso... - la possibilità di esportare una quantità sempre maggiore di gas liquido, sul cui procedimento di estradizione l’impatto ecosostenibile va a farsi benedire in quanto altamente impattante sul territorio. A smuovere le acque e a lavorare per far emergere un’altra prospettiva è stato recentemente, come dicevamo, Seymour Hersh, un giornalista già autore di rivelazioni scottanti come recentemente le immagini delle torture nella prigione di Abu Ghraib e tanti altri reportage premiati cinque volte con l’ambito premio Polk. Ma il nome di Hersh è soprattutto legato alle rivelazioni del massacro di My Lay durante la guerra in Vietnam compiuto da soldati americani: anche allora il Pentagono respinse le accuse, salvo poi doverle ammettere in seconda battuta e dare il ben servito ai responsabili che coprirono i drammatici fatti. Per questo scoop Hersh ricevette il famoso Pulitzer. Oggi lo scomodo giornalista d’inchiesta scrive del sabotaggio del gasdotto e individua in una squadra di sommozzatori dell’esercito Usa, incaricati dalla Cia su ordine della Casa Bianca, i responsabili. I sommozzatori avrebbero piazzato gli ordigni più importanti al fine di danneggiare la pipeline, ordigni fatti successivamente esplodere da remoto.

 

Com’era prevedibile, la replica ufficiale è stata quella di negare e respingere. Stessa reazione (inspiegabilmente) anche in Europa, dove dovrebbe essere maggiore l’interessa a conoscere la verità dei fatti visto che si trattava di una arteria strategica; a fronte delle richieste di una discussione in parlamento, la presidente della Commissione, Ursula Von Der Leyen ha voluto mettere una pietra sopra: vietato discuterne perché la tesi sostanzialmente è falsa. Ovviamente il fatto era talmente grosso che non poteva passare sotto silenzio come se nulla fosse, così adesso esce fuori che secondo l’intelligence americana, a sabotare il gasdotto del Nord Stream, sarebbe stato un gruppo di oppositori di Putin. Anche in questo caso è difficile accettare una versione dei fatti tanto naïf: come potrebbe un gruppo di oppositori di Putin compiere un atto così complesso, per di più senza che alcun apparato di intelligence o militare sapesse o agisse in sostegno? Di quale struttura sarebbero dotati questi fantomatici oppositori? Suvvia, la tesi è davvero ardita. Non a caso, gli inquirenti tedeschi hanno acceso i loro riflettori su un misterioso yacht, con a bordo degli incursori.

 

Il racconto di Hersh al momento è quello maggiormente dettagliato (cosa significa avere le fonti...), mentre la versione che immunizza gli americani o gli anglosassoni (come ebbe a dire immediatamente Putin) non ha grandi elementi di fondatezza. Tutto questo per dire che molte vicende non tornano, dall’andamento sul campo della guerra all’attentato che costò la vita alla figlia di Alexander Dugin, dalla recente incursione in territorio russo da parte di un commando del Volunteer Corps che combattono con gli ucraini all’attacco a un aereo radar in Bielorussia o allo sventato agguato dinamitardo contro Kostantin Malofeev, alto dirigente di una tv vicina ai falchi di Mosca. Forse, per arrivare a una mediazione, alimentare la propaganda è proprio una leva da maneggiare con grande cura.

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