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Guerra e sanzioni, la Russia cresce. Paragone inchioda l'Europa: "Che gioco sta facendo"

Gianluigi Paragone
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Mettiamo insieme i dati e tanto basta per capire in che razza di situazione ci hanno messo. E perché l’economia italiana non performa come potrebbe se solo avesse una classe dirigente più attenta agli interessi nazionali e meno a equilibri diplomatici asimmetrici. I fatti.

Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che la crescita economica del prossimo anno vedrà la Russia crescere più degli Stati Uniti, più della Gran Bretagna, più della Germania, della Francia e dell’Italia. Non male se si pensa che in un anno di guerra la decisione dell’Unione europea, ovviamente spinta dalla Casa Bianca, è stata quella di chiudere le relazioni con Mosca e avviare una serie di sanzioni sempre più dure. Lo scopo, vale la pena di ripeterlo, era di far male a Putin e fargli capire la lezione.

L’esito? Mosca può gioire perché la sua economia vola, il popolo è saldamente con il suo Capo e le relazioni con la Cina sono ancor più salde. Nemmeno le misure sulla dipendenza energetica (europea e italiana in modo particolare)sono andate al di là della retorica del price cap, provvedimento che agli atti non vale nulla, se non che progressivamente il gas russo sta prendendo la via dell’est e tanti saluti all’Europa.

C’è di più: un giornalista premio Pulitzer, autore di numerose inchieste sensazionali (tra cui la scoperta del massacro compiuto dai militari a stelle e strisce in Vietnam a My Lai, scoop inizialmente ed energicamente negato dal Pentagono salvo poi doverne ammettere la veridicità) ha scoperto che l’esplosione del gasdotto North Stream è stato opera della Cia su mandato della Casa Bianca allo scopo di rompere l’erogazione di gas verso l’Europa. Di questo scoop la Commissione europea retta dalla Von Der Leyen-la stessa che nega l’accesso ai messaggi intercorsi tra lei stessa e l’amministratore delegato di Pfizer, Bourla, rispetto all’acquisto dei vaccini - nega un confronto forse per paura di dover mettere in discussione la narrazione per cui sarebbe stato il Cremlino a ordinarne l’irreparabile danneggiamento (a che scopo la Russia avrebbe dovuto rompere un rubinetto che le portava soldi?).

Paura degli equilibri con l’America? Allora a che serviva l’Europa unita se dobbiamo stare ancora sotto l’ombrello americano? Dunque, le decisioni della Commissione europea, ovvero sanzioni sempre più rigorose e rottura delle relazioni sul versante gas stanno danneggiando la nostra economia a favore di altre economie. Qual è la risposta a fronte di questi dati? Inasprire ulteriormente le maglie con la Russia e proseguire con sanzioni sempre più restrittive.

Assai opinabile, ma tant’è. Facciamo allora finta che l’obiettivo metapolitico della libertà e della difesa del popolo ucraino regga e prevalga sul resto (e anche qui ho i miei dubbi visto che una mediazione a colpi di armamenti sempre più offensivi difficilmente può realizzarsi), eche dunque non si può indietreggiare, quali politiche espansive mette in campo l’Europa come controbilanciamento ai dati di (non) crescita? Nessuna! Anzi, sta chiedendo ai governi di prestare attenzione ai conti pubblici perché non si può procrastinare quanto messo in atto durante l’emergenza, ovvero intervenire con la leva del debito pubblico europeo. I falchi del Nord - Frans Timmermans in testa - da settimane hanno inviato le loro missive, specie al governo italiano: dovete rientrare nelle euroregole e potete solo far conto sul Pnrr. Oppure sul Mes, che guarda caso è nelle mani del parlamento cui non resta che decidere se ratificare (manchiamo solo noi) oppure no. «L’Unione europea non farà altro debito comune», ha detto chiaramente Johannes Hahn, «euroministro» al Bilancio.

Insomma dobbiamo rifinanziarci sul mercato, alle condizioni attuali. Un disastro. Non è un caso, dunque, che nel giro di poco tempo il governo abbia agito su due provvedimenti: il reddito di cittadinanza e la cessione del credito legata al Superbonus. A parte il rischio di dover bloccare un settore che assumeva (anche lavoratori non particolarmente qualificati come quelli legati all’edilizia) proprio mentre si chiede al mercato del lavoro di assumere i percettori del reddito, la domanda è: come pensiamo di crescere? Alle aziende, le materie prime costano ancora care e se è vero che le bollette sono calate (principalmente perché ha fatto un inverno caldo) è altresì vero che le bollette restano più care di primae le sofferenze dei mesi scorsi non scompaiono con un soffio.

L’economia reale italiana insomma ha bisogno di un sostegno vero da parte del governo e il Pnrr non produrrà benefici salvifici a stretto giro. Di contro le multinazionali sono libere di scorrazzare sui mercati del lavoro e si permettono, come nel settore della logistica o dei servizi, di fare dumping fiscale. Si aggiunga infine che mentre noi dobbiamo lavorare di lima perché «ce lo chiede l’Europa», nessuno vuole darci una risposta certa su quanto stiamo spendendo in armi da destinare all’Ucraina, quanto abbiamo speso in vaccini che stiamo finanche buttando, quanto spazio fiscale stiamo regalando a grandi gruppi stranieri.

Anche in nome di quella ecostenibilità che ci obbligherà a un fantomatico cambio di paradigma industriale verso l’elettrico con ulteriore vantaggio all’economia cinese. Allora la domanda resta: come pensiamo di tenere in piedi l’economia del Made in Italy? Persino le spiagge italiane stiamo mettendo nelle mani dei grandi gruppi e dei fondi.

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