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I pacifisti stanno sempre dalla parte dei tiranni

Riccardo Mazzoni
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Mancava il lancio di un missile balistico nordcoreano sullo spazio aereo del Giappone, probabile preludio a una prossima detonazione nucleare, per accrescere l’allarme atomico già alto a causa delle ripetute minacce di Putin. Il Times ieri ha dato notizia di un test che la Russia si appresterebbe a compiere ai confini ucraini, e il laconico commento del portavoce del Cremlino, secondo cui Mosca «non prende parte alla retorica nucleare dei media occidentali» è tutt’altro che rassicurante, visto che alla vigilia del 24 febbraio le stesse fonti affermavano che l’invasione dell’Ucraina era solo una fake news. Siamo dunque davanti a un dato di fatto difficilmente contestabile: mai come oggi, dai tempi della crisi dei missili di Cuba nel ’62, il rischio dell’uso dell’arma nucleare da parte di una superpotenza è stato così reale. Eppure non c’è traccia in giro di bandiere arcobaleno appese alle finestre o di manifestazioni di protesta davanti all’ambasciata russa. Nulla: le Sardine sono scomparse dopo aver sentenziato all’inizio della guerra che la soluzione non era l’invio di armi all’Ucraina, mentre i giovani di Potere al Popolo invocano i negoziati, senza profferire verbo contro le atrocità di Putin, perfetti emuli dei Collettivi di quarant’anni fa che protestavano contro l’installazione degli euromissili fingendo di non sapere che l’Unione Sovietica ci aveva puntato contro gli SS20.

I massacri di civili, le esecuzioni sommarie, le fosse comuni e gli stupri di questi tragici mesi non hanno fatto cambiare verso ai novelli partigiani della pace, quelli che a febbraio sostenevano che l’esercito russo era troppo forte e dunque l’Ucraina andava sacrificata («Più diamo armi a Zelensky, più Putin avanza»), e ora con la stessa supponenza affermano che l’Ucraina non può essere resa forte al punto tale da umiliare Putin. Del resto, il pacifismo occidentale ha sempre, storicamente, tifato per le dittature, fossero l’Urss, il regime di Saddam in Iraq o l’Iran degli ayatollah. Per cui non può sorprendere che sui social e nei talk show imperversino ancora opinionisti convinti che rispetto alla guerra nucleare Putin rappresenterebbe una garanzia, e che in definitiva se c’è un rischio atomico non va attribuito a chi lo minaccia, ma al Paese invaso che nel ’94, firmando il memorandum di Budapest, accettò di disfarsi del terzo arsenale nucleare del mondo in cambio del rispetto della sua integrità territoriale da parte della Russia. Un accordo platealmente violato da Putin, ma la colpa, con le lenti distorte dell’ideologia antioccidentale, ricade solo e sempre sugli Stati Uniti e sulle mire espansionistiche della Nato, suo braccio armato.

Quando, nel gennaio del '91, in risposta all'invasione del Kuwait, una coalizione internazionale guidata dagli Usa e sostenuta da una risoluzione dell'Onu liberò l'Emirato arginando le mire del regime iracheno, i pacifisti organizzarono manifestazioni oceaniche per contestare la prima guerra del Golfo, dando così inizio alla stagione del pacifismo arcobaleno che poi, anche di fronte all'offensiva del fondamentalismo islamico avrebbe continuato a manifestare solo e soltanto contro l’imperialismo occidentale. Cambiano le generazioni, insomma, ma i pacifisti si mobilitano solo quando le democrazie occidentali sono coinvolte in una guerra contro qualche tiranno. Anche se si tratta di soccorrere, come avviene in Ucraina, un popolo in lotta per la propria autodeterminazione e per difendere la libertà dell’intera Europa. Da una Guerra fredda all’altra, hanno sempre scelto la parte sbagliata.
 

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