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Sulle elezioni le ingerenze apocalittiche del Financial Times e degli hedge fund impazziti

Riccardo Mazzoni
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L'allarme lanciato dal Financial Times sull'esistenza della «più grande campagna speculativa dalla crisi finanziaria globale del 2008», con gli hedge fund che avrebbero scommesso per 40 miliardi contro i titoli di Stato italiani, è apparso subito eccessivo, nonostante l'indubitabile, complessa situazione internazionale in atto, a partire dallo choc energetico e dal rialzo dei tassi di interesse. Uno scenario così apocalittico appare insomma più come la speranza (politica) di una profezia che si autoavveri che una previsione realistica, visto che un indicatore sensibile come lo spread non ha subito oscillazioni preoccupanti. Sembra quindi di assistere alla riproposizione di uno schema già sperimentato ogni qual volta che il centrodestra è accreditato di una possibile vittoria elettorale, e alcuni precisi terminali stranieri, con la sponda interessata della sinistra - che non esita a screditare l'Italia pur di salvaguardare il proprio sistema di potere - scendono in campo nel tentativo di influenzare l'esito elettorale.

 

 

La mente torna inevitabilmente al 2011, quando il quotidiano finanziario britannico si mise alla testa di una mobilitazione internazionale per far cadere il governo Berlusconi, con un'accelerazione degli eventi che fece gridare al complotto politico, tanto che la Lega arrivò a chiedere una commissione d'inchiesta che non sarebbe però mai nata. I fatti sono noti: nel mese di maggio Bankitalia, nelle considerazioni finali, aveva definito «prudente e appropriata» la gestione della crisi da parte del governo, giudizio condiviso anche dal vertice europeo di luglio, ma una settimana dopo arrivò la lettera della Bce che ordinava all'Italia di varare, per decreto, una manovra bis da 65 miliardi che si sommava a quella da 80 miliardi decisa appena un mese prima. Sarebbe stato poi il Wall Street Journal a rivelare le pressioni di alcune cancellerie comunitarie per sostituire il premier italiano, tesi autorevolmente confermata dall'ex segretario al Tesoro americano Tim Geithner, che nel suo libro di memorie raccontò di quando «alcuni funzionari europei» chiesero senza successo all'amministrazione Obama di impegnarsi per far uscire Berlusconi di scena. Gli editoriali di fuoco del Financial Times fecero da metronomo a una serie di accadimenti tutti indirizzati a destabilizzare la politica italiana: la speculazione che mise in ginocchio Piazza Affari, il pranzo a Berlino di due ministri del Pdl nel giorno in cui il premier fu costretto a dimettersi, i sorrisini di Merkel e Sarkozy, la Deutsche Bank che si disfece della quasi totalità dei titoli di stato italiani, facendo volare lo spread.

 

 

Un film già visto, dunque, che andò in scena anche nel 2013, alla vigilia delle politiche, quando lo stesso Financial Times mise in guardia gli elettori italiani dal votare Berlusconi, affermando che il suo ritorno al governo «avrebbe portato il Paese al disastro». Un catastrofismo poi ribadito alla vigilia del referendum costituzionale del 2016: «Se il premier Renzi perderà - sentenziò l'allora condirettore del Ft - fino a otto banche italiane, quelle con più problemi, rischiano di fallire», con «l'euro che si sfalda e l'Italia in prima fila tra le nazioni che abbandoneranno la moneta unica». Il referendum non passò, Renzi correttamente si dimise, ma nessuna apocalisse si abbatté sull'Europa. Ora l'offensiva è ripartita in grande stile, su un duplice fronte: la presunta destabilizzazione finanziaria e «lo spettro dell'interferenza russa sulle elezioni italiane» per «far vincere le destre putiniane». Si tratta, in tutta evidenza, di una speculazione mediatica a cui solo il provincialismo di una sinistra disperata può dare credito.

 

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