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Altro che abolizione della povertà, il reddito di cittadinanza non funziona: i numeri del flop

Mario Benedetto
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38%: è questa la percentuale di percettori del reddito di cittadinanza al di sotto dei 29 anni. Adesso, è un numero che va sicuramente analizzato, ma non pare troppo alto rispetto a una fascia in piena età lavorativa? Questo numero racchiuderà con tutta probabilità persone impossibilitate a lavorare ma, al contempo, c'è da chiedersi quanta forza lavoro inattiva comprenda. Questo per ribadire che non siamo sulla strada giusta: una misura come il reddito di cittadinanza pensata per sostenere chi è in difficoltà ma anche per incentivare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, non funziona. Lo dicono i numeri, lo dicono gli 80 miliardi stanziati di qui fino al 2029 che rischiano di produrre gli effetti dei 20 già spesi in questi 3 anni, ovvero nessuno. Nessun effetto, nessuna abolizione di povertà, a quanto pare, dato che è tuttora confermata, purtroppo, la situazione d'indigenza di molti nuclei familiari. Con addirittura 2.6 milioni di persone, badiamo bene, a rischio alimentare secondo ultimi dati Coldiretti.

 

 

Quello del lavoro e delle questioni economiche, da reddito al fisco, è un tema che ha animato nelle scorse ore il dibattito del Meeting di Rimini, sino all'atteso discorso di Mario Draghi. Le reazioni del pubblico, specialmente attento come quello dell'occasione, sono solitamente un indicatore importante. Per di più, se consideriamo il pubblico riminese, ampiamente composto da giovani. Giovani che aspettano proposte, prospettive, opportunità. Non mance o contentini. Dovremmo dire a tutti loro, ed a tutti gli italiani, che non è sui bonus che si sono edificate le architravi economiche e sociali che sorreggono ancora, dalle storiche realtà economiche sino al risparmio dei nostri nonni, le fondamenta della nostra Italia. È arrivato il momento di offrire prospettive, non garantire sopravvivenza, captando consensi. Il consenso vero è quello degli applausi di questi giovani, che non si entusiasmano per soluzioni che permettono loro di sopravvivere, appunto, ma per condizioni che consentano di far camminare le loro idee ed i loro sogni. Allora, abbiamo esempi anche in Europa: perché non differenziare lo strumento reddito di cittadinanza e destinare risorse mirate a favore di chi è effettivamente in condizione d'indigenza e impossibilitato a lavorare?

Una volta tutelato chi ne ha reale necessità, avremmo dunque a disposizione risorse che hanno precisi destinatari: professionisti e imprese. Con la contestuale riforma del fisco, che ci sta facendo assistere a un dibattito altrettanto surreale. La visione partigiana e tribale sta arrivando persino all'assurdo di criticare una misura, che numeri alla mano, avvantaggerebbe tutti come la riduzione della pressione fiscale. Ma davvero si può considerare ricco chi ha un reddito da 15.000 euro in su? Si perché già da questa fascia reddituale di beneficerebbe della riduzione della pressione fiscale sulla scia della flat tax e del principio che intende incarnare. Volendo anche andare oltre, contemplare redditi più alti: possiamo considerare ricco chi ha un reddito anche di 50.000 euro? È disonesto intellettualmente avversare soluzioni solo per prese di posizione, di parte.

 

 

Oggi c'è una sola tribù da tutelare: l'Italia tutta. L'Italia che produce, che ha capacità e voglia di farlo. E non può essere proprio la politica la responsabile dello smorzamento di energie che dovrebbe, al contrario, stimolare e convogliare in un comune interesse. Perché produrre valore è un interesse collettivo: la divisione lavoratore - imprese, che anima ancora certi programmi elettorali, è la rischiosa deriva di un pensiero cui va contrapposta non un'altra idea, ma la realtà: le risorse delle imprese, del lavoro, sono quelle che arrivano a famiglie e lavoratori. Chi non riconosce questo meccanismo, e non lo incentiva, mente e sbaglia. Sapendo di farlo. O forse no, ahinoi.

 

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