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Luciana Lamorgese, "solo per difendere Draghi". Gianluigi Paragone e il caso polizia

Gianluigi Paragone
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In questi giorni il tema della sicurezza è tornato alla ribalta. Sono bastate alcune immagini, una su tutte: un uomo di origine nordafricana che brandisce un machete per strada contro un altro africano in piano giorno. Una scena non troppo isolata nel quartiere Aurora di Torino, abituata agli scontri tra bande di delinquenti a colpi di lame. Quando non è la stampa nazionale ad occuparsene, è quella locale: gente ubriaca che molesta, regolamenti di conti tra gang e bande varie, e via di questo passo.

«È una persona disturbata che si è trovata in un quartiere di Torino come avrebbe potuto trovarsi in un centro di montagna, magari dall'altra parte dell'Italia», è stata la geniale risposta del prefetto di Torino. Al quale però sfuggono due cose: la prima è che nel quartiere Aurora i regolamenti di conti tra bande criminali sono troppo frequenti (o sono i nordafricani o sono le bande dell'est) per liquidare il fatto con tale leggerezza; la seconda è che ai cittadini per bene che non si possono permettere la casa nel salotto buono della città sabauda, non frega nulla se chi brandisce un machete abbia problemi psichiatrici o meno (di sicuro la gente normale non va in giro con spade o falcioni) ma importa che non si debba temere di finire all'ospedale se non peggio. «Adesso basta», gridano i cittadini invocando le forze dell'ordine.

E qui, scusate, se racconto un fatto che ho vissuto personalmente assieme alla collega Jessica Costanzo, deputata. Quando a Torino il 5 aprile scorso arrivò il presidente del Consiglio Mario Draghi, il centro fu blindato da agenti di polizia, carabinieri, guardia di finanza. Mancavano i caschi blu dell'Onu e all'appello non mancava nessuno.

Tutti in uniforme da battaglia: caschi, scudi, manganelli. Mezzi blindati. Una bella parata di quel personale che nel quartiere Aurora o Barriera di Milano invocano e non vedono mai (cinque giorni dopo la Stampa titolava: «Guerriglia urbana a colpi di spada tra gang»). Ecco, quel personale che non c'è mai quando serve davvero, era tutto per noi, noi quattro gatti che ci permettevano di contestare il Draghi. In rete potrete trovare il cordiale trattamento riservato a me e alla deputata Costanzo, marcati a vista come fossimo due boss del narcotraffico.

Nei giorni successivi né il questore Ciarambino (latitante per quel che accade nella sua città), né il capo di gabinetto del ministro, né lo stesso capo del Viminale si fecero sentire: evidentemente la sicurezza dei cittadini non è così importante come il controllo del dissenso politico. Il personale armato, la signora Lamorgese lo ha schierato a suo piacimento: per controllare i green pass; per schedare chi partecipava ai cortei; per mostrare i muscoli contro i no vax, e manganellare gli studenti colpevoli di solidarizzare con i coetanei che muoiono per colpa di chi sfrutta l'esperienza dello scuola/lavoro; per gettare gli idranti contro i portuali di Trieste; per presidiare le assemblee degli ordini dei medici contro il pieno esercizio delle assemblee minacciati da medici controcorrente. Insomma, la polizia c'è ma è schierata (per ordine del ministero) contro cittadini in dissenso ma non c'è quando bande criminali regolano i loro conti su chi deve controllare pezzi di città.

A Torino come a Milano, a Genova come a Napoli o Palermo. O come a Roma, dove poche settimane fa per controllare un flashmob contro le armi davanti al ministero della Difesa, io e gli altri colleghi di Italexit ci siamo trovati circondati da blindati come se fossimo i capi di chissà quale cartello della droga. Un numero di mezzi e di agenti che a pochi metri di distanza (zona Termini e dintorni) si sognano.

Ora, come se tutto questo non bastasse, la Lamorgese - di per sé incapace di controllare l'ordine pubblico e garantire la sicurezza - si copre le spalle rispetto alla marea di sbarchi in arrivo e dice sì a un nuovo decreto flussi. Con la complicità del collega Garavaglia, ministro della Lega. Quelli del «Basta sbarchi». Insomma, prepariamoci a nuove tensioni.

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