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All'armi, son sfascisti. E tocca resistere a loro

Marcello Veneziani
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Ma se il 25 aprile diventasse la Festa dell'antisfascismo? Se fosse quella la vera, Resistenza che urge ai nostri giorni, la guerra di liberazione dallo sfascismo? Il fascismo dista ormai 72 anni dal nostro presente, è pura archeologia, più del comunismo sovietico. Oggi è lo sfascismo il vero pericolo contro cui si dovrebbero chiamare gli italiani. Sfascismo vuol dire arrendersi al declino dell'Italia. Anzi peggio, approfittare dello sfascio del nostro paese, lucrare sul piano politico, elettorale, sociale ed economico. C'è chi spera di mettere a frutto i brandelli d'Italia, e mettere all'incanto i lacerti del nostro Paese. Lo sfascismo non riguarda solo chi campa sulle rovine del nostro Paese all'insegna del tanto peggio tanto meglio, chi miete consensi sulla sfiducia, sulla ribellione di tutti a tutto e tutti, come fanno i grillini. Ma sfascisti sono anche quelli che puntano sullo sfascio della famiglia italiana, dell'identità nazionale, della sovranità popolare, del legame comunitario, del sentire religioso, delle imprese italiane, da svendere all'estero. Sfascisti sono quelli che immaginano l'Italia come una periferia dell'Europa, un sobborgo del mondo e un suk aperto ad accogliere chiunque voglia venire. Sfascisti sono quelli che vedono con piacere le nostre città invase da orde di clandestini, le nostre coste assediate da flussi di migranti, con i centri di accoglienza come incubazioni del disagio sociale. Sfascisti sono pure quelli che rimettono i destini del nostro Paese nelle mani di caste apolidi e oligarchie transnazionali, tecnocrati e finanzieri globali. Gli sfascisti hanno smesso di ragionare per popoli, ragionano solo per individui, profitti e fatturati. Per loro l'Italia è solo un vuoto nome dato a un relitto antico, un anacronistico richiamo a un paese delineato da confini, da una storia e da una civiltà. Quel paese è dato ormai per estinto e c'è chi esulta dello sfascio. Oggi il pericolo numero uno per il nostro Paese è questo sfascismo trasversale e pervasivo. Ed è ridicolo, incomprensibile, che invece si cerchi ancora di mobilitare lo spirito pubblico italiano contro l'antico cadavere del fascismo o come si preferisce dire, del nazi-fascismo. Che senso ha tenere in vita l'Associazione Partigiani (Anpi) se non ci sono più partigiani? E' una domanda elementare ma sconveniente che sorge ormai da più parti. E che rimanda a una questione più grande: si può ancora, 72 anni dopo, vivere la Resistenza come un fatto presente contro un nemico incombente, e non come un fatto storico contro un nemico passato? Quando passerà la Resistenza dalla politica alla storia? Si risponde di solito che ciò accadrà quando sarà memoria condivisa. Ma avremo una memoria condivisa quando riconosceremo che uccidere Mussolini fu forse una necessità storica e rituale per fondare l'avvenire, ma lo scempio di Piazzale Loreto fu un atto bestiale di inciviltà e un marchio d'infamia sulla nascente democrazia. Avremo una memoria condivisa quando riconosceremo che Salvo d'Acquisto fu un eroe, ma non fu un eroe Rosario Bentivegna, artefice della strage di via Rasella. Quando ricorderemo i sette fratelli Cervi, partigiani uccisi in una rappresaglia dopo un attentato, e porteremo un fiore ai sette fratelli Govoni, uccisi a guerra finita perché fascisti. Quando diremo che tra i partigiani c'era chi combatteva per la libertà e per l'Italia e chi invece per instaurare la dittatura stalinista e i soviet. Quando distingueremo i partigiani combattenti sia dai delinquenti sanguinari che dai partigiani finti e posticci. Quando onoreremo quei partigiani, quei soldati in divisa e chiunque abbia combattuto lealmente, animato da amor patrio, senza dimenticare il sangue dei vinti. Quando celebrando le eroiche liberazioni, chiameremo infami certi suoi delitti, come per esempio l'assassinio del filosofo Gentile, del poeta cieco Carlo Borsani o del grande studioso dell'antichità Pericle Ducati. Quando rispetteremo quanti, da fascisti o da antifascisti, da monarchici o da comunisti, pagarono sulla propria pelle le loro scelte e invece disprezzeremo quanti pagarono le loro scelte con la pelle degli altri. Quando celebrando la Liberazione ricorderemo almeno tre cose: che nel ventennio nero furono uccisi più antifascisti italiani nella Russia comunista che nell'Italia fascista (lì centinaia di esuli, qui nemmeno una ventina); che morirono più civili sotto i bombardamenti alleati che per le stragi naziste; che ha mietuto molte più vittime il comunismo in tempo di pace che il nazismo in tempo di guerra, shoah inclusa. Quando saremo in grado di sopportare il peso della verità intera e non di una sola parte, allora saremo pronti per avere una memoria condivisa. Altrimenti, meglio avere memorie divise ma senza odio persistente piuttosto che tenere artificialmente in vita memorie false e coatte o spegnere le memorie nell'oblio condiviso. In ogni caso, è tempo di liberare l'Italia dallo sfascismo, di far nascere una vera Resistenza antisfascista. E' quello il nemico di oggi, nemico interno ed esterno. E non i fantasmi di settantadue anni fa.

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