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Francesco Rocca: "Mi ricandido nel Lazio per il diritto alla salute"

Il governatore del Lazio, Francesco Rocca, ospite all’edicola de Il Tempo per fare il punto di metà mandato alla guida della Regione. Un confronto sui temi di attualità con il direttore Tommaso Cerno e la redazione del quotidiano. Dalla sanità al piano rifiuti regionale – che, promette, arriverà in Consiglio entro l’anno – passando per le polemiche sull’Expo di Osaka fino al rapporto con la premier Giorgia Meloni e il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. Rocca punta sulla concretezza e vuole ricandidarsi con l’obiettivo di completare il lavoro iniziato per garantire ai cittadini il diritto alla salute. “Non avrò pace – ha detto – fino a quando non avrò garantito la copertura totale delle liste d'attesa nei tempi previsti dalla legge”.

Martina Zanchi

Due anni e mezzo al timone della Regione Lazio per Francesco Rocca, già presidente della Croce Rossa prestato da tempo alla politica. E forse ormai ci ha preso gusto, tanto che a neanche metà del primo mandato già pensa al secondo (nel silenzio di Fratelli d’Italia) ma se gli si chiede del terzo, tira un sospirone. «I miei colleghi o sono superuomini e superdonne o non sentono la fatica della responsabilità», risponde. Lui - assicura - la percepisce tutta, anche a causa di un carattere sanguigno «che mi fa appassionare alle cause, tanto da non dormirci la notte». La più importante, la sanità. Un cruccio tale da aver voluto tenere per sé la delega in Regione.

Presidente, per anni si è occupato di scenari complessi che avevano a che fare con la sanità. Nel Lazio ha trovato, non certo lo stesso guaio mondiale, ma di sicuro una brutta situazione. Si è pentito?
«Assolutamente no. Mi manca molto la vita in Croce Rossa perché mi ha portato a conoscere il mondo nel profondo, le sue ferite e le sue contraddizioni, e credo mi renda anche un buon presidente in termini di capacità di ascolto dei territori, dei bisogni dei cittadini. Quindi sono contento della scelta che ho fatto. Certo, sono ruoli e responsabilità completamente diversi, che però mi appassionano perché ogni scelta impatta sulla vita di circa sei milioni di cittadini».

In questi due anni e mezzo abbiamo assistito a polemiche di varia natura. Lei che sanità ha trovato e dove siamo arrivati?
«Guardi, queste polemiche mi hanno disturbato molto perché a me piace partire dai dati di fatto. I miei predecessori hanno avuto dieci anni per rimettere i conti in ordine, certo, non per sanare un debito di 22 miliardi che loro hanno contribuito ad aggravare. A noi è bastato un anno e mezzo per riuscirci. Abbiamo lavorato fianco a fianco con la Corte dei conti, con la Procura, con la Guardia di finanza per ricostruire i bilanci delle nostre Asl e questo ha fatto emergere una situazione di disordine contabile che noi, finalmente, abbiamo messo a posto. Insisto su questo perché, se bisogna fare una programmazione che riguarda assunzioni e prestazioni, bisogna sapere quali sono le risorse a disposizione. Questo lavoro ci ha consentito di fare un programma assunzionale di 14 mila nuove unità, di aumentare gli organici del 20%, di aumentare i volumi delle prestazioni. È un lavoro in itinere, gli indicatori sono tutti in miglioramento ma è ovvio che la gente ancora fatichi a percepirlo. Quello che devo ricordare a me stesso ogni giorno è che alcuni risultati non li posso vedere dalla sera alla mattina».

Cosa dice a quei cittadini che ancora vivono il disagio?
«Noi facciamo milioni di prestazioni ogni anno e siamo riusciti, riorganizzando i servizi, a passare dal 70% di copertura delle liste d’attesa nei tempi previsti dalla legge, che è ciò che avveniva con la giunta Zingaretti, al 96%. Ma quel 4% vale oltre 150 mila prestazioni all’anno, per questo non uso toni trionfalistici. Certo, so che sto andando nella giusta direzione, ma non posso esultare quando 150 mila cittadini ancora faticano a trovare risposte. Non avrò pace fino a quando non sarò riuscito a risolvere questo problema».

Basterà il mandato in corso per colmare questo gap o pensa a un percorso che può essere completato successivamente, magari con la ricandidatura?
«Sicuramente un mandato non basta, ma questo non è per mettere le mani avanti, un mandato deve bastare per salvare il rapporto di fiducia con i cittadini, per far vedere che si sta lavorando seriamente, nell’interesse della comunità. Poi questo lavoro andrà proseguito, protetto e mantenuto. Quindi sicuramente mi sto preparando al secondo mandato, o comunque per far vincere la mia coalizione, questo è sicuramente l’obiettivo. Poi, quando sento parlare di terzo, di quarto mandato, è un tema a cui non sono appassionato perché vedo già quanto è faticoso il primo (ride, ndr)».

Parlando di coalizione, lei era presente al raduno regionale di Fratelli d’Italia a Greccio, com’è il clima?
«Straordinario. Quello di Greccio era un incontro dei consiglieri e degli assessori di FdI, è servito per raccordare, ma non si pensi chissà a quali divisioni, a volte è molto più semplice. I nostri consiglieri sono espressione di diversi territori, di diverse sensibilità, e quindi a volte dobbiamo governare un sistema complesso. Quando le risorse sono poche bisogna fare delle scelte importanti e difficili intorno alle quali bisogna compattare la maggioranza. Ma è stato un clima costruttivo e anche molto sereno. A livello di maggioranza, inutile nasconderlo, in passato ci sono state rivendicazioni che venivano da un aumento del numero dei consiglieri di Forza Italia, si è cercato di costruire un percorso che bilanciasse questo peso con la necessità di rispettare anche la Lega, perché è parte essenziale della maggioranza e le percentuali che avevano preso alle elezioni più o meno sono state confermate anche alle Europee».

Com’è invece il rapporto con Giorgia Meloni, tra il governo e Regione Lazio?
«Il rapporto è solido e mi sento sostenuto. Poi ci sono diverse sensibilità sul tema sanitario, su questo mi sono confrontato anche con il ministro. Io sto chiedendo con forza alcune riforme che per me sono essenziali per migliorare il servizio. Una, di cui sono profondamente convinto, è di togliere il contratto collettivo della sanità e soprattutto della dirigenza medica all’Aran e portarlo sotto il ministero della Salute. Dobbiamo avere il coraggio di fare scelte difficili, questo non è più il tempo per tirare a campare e Giorgia (Meloni, ndr) l’ha dimostrato in tantissimi settori. Dobbiamo riconoscere ai medici di emergenza, agli anatomopatologi, ai radioterapisti, ai medici nucleari e a tutti quelli che non hanno spazio nell’intramoenia un salario diverso, all’altezza, perché diversamente non soltanto nei pronto soccorso ma anche in specialità critiche per salvare vite non avremo più medici di altissimo livello. L’altra riforma da fare è quella dei medici di medicina generale. Il sistema così non funziona e dobbiamo trovare il punto di caduta. Mi auguro che in tempi brevi il governo apra un tavolo di confronto con la Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) e con gli altri organismi rappresentativi. Perché gli ambiti territoriali li dobbiamo rivedere e c’è il tema del monte ore: io voglio pagare 36 ore al medico e quelle 36 ore voglio essere io a governarle, nell’ambito del nostro contratto».

E questo concretamente cosa significa per i cittadini?
«Vuol dire la presenza dei medici nelle case della salute. Le faccio l’esempio di Pontecorvo, dove c’è una casa della comunità, a un piano ci sono i medici di medicina generale e il reparto degenti a minore intensità di cura, che possono non andare in pronto soccorso; al piano di sotto ci sono gli specialisti e al piano terra la radiologia. Per cui se si crea il giusto clima si instaurano anche quegli equilibri e quella modalità di lavoro di équipe che è nell’interesse del paziente».

Lei è stato attaccato per queste sue posizioni.
«Guardi, io ci tengo a dire da questo, perché è un aspetto che mi ha fatto veramente male».

Prego.
«Loro fanno delle legittime rivendicazioni sindacali e non vogliono che si cambi la legge, ma dire che io voglio decidere con quali farmaci devono curare i pazienti è un’offesa all’intelligenza. Perché ci sono delle linee guida e chi dice quali farmaci sono prescrivibili è l’Aifa. Nel Lazio ho decine di milioni di euro di prescrizioni farmaceutiche inappropriate e voglio poter controllare tutto questo, sanzionare e, utilizzo un termine forte, prendere a pedate chi magari fa questo per un sistema più losco. Invece anche su questo minacciano lo sciopero, questo è l'aspetto che io non tollero: dire che io tolgo i farmaci ai cittadini è un insulto, è un’infamia che mi ha ferito e che ha danneggiato profondamente il dialogo con la Fimmg nella nostra regione».

Cambiamo argomento e veniamo a Roma. Ci sono diversi pareri sul rapporto tra lei e il sindaco Roberto Gualtieri anche nei vostri schieramenti. Secondo lei siete più simili o più diversi?
«Caratterialmente io sono più passionale, emotivo, lui invece è molto più distaccato, il che secondo me in certi momenti è anche un bene. Io sono molto contento di essere un passionale, dall’altra parte in certi momenti quella capacità razionale che il sindaco ha lo aiuta. Detto questo, credo che sia un dovere del presidente della Regione trovare punti di contatto e andare d’accordo col sindaco, chiunque esso sia. È fondamentale che le divergenze si risolvano, anche a muso duro, però nel chiuso di una stanza. Io non sono stato eletto per fare show, ma per cercare di migliorare la vita della nostra comunità, e quindi trovare punti di contatto. Quando si è trattato dei fondi del Giubileo, di cui Gualtieri sta facendo buon uso, la Regione Lazio è stata al suo fianco, perché è giusto che Roma abbia le risorse. Poi bisogna vigilare affinché vengano spese bene, affinché i tempi vengano rispettati, discutere su quali sono le priorità. Su questo ovviamente le discussioni le facciamo in privato. Vede, quando si tratta di amministrare le realtà locali è inutile fare questi trucchetti che ingannano i cittadini. I temi che noi dobbiamo risolvere, rifare una strada o realizzare un’infrastruttura, non sono né di destra né di sinistra. Al cittadino interessa che vengano risolti i problemi, che sono quelli dei commercianti, dei nostri imprenditori, della salute come un bisogno essenziale».

È chiaro che lei e il sindaco vi sentite spesso, magari avete anche iniziato a conoscervi. Allora facciamo un piccolo test, lo sa che Gualtieri è romanista? Lei che dice, Roma o Lazio?
«Lazio, io sono laziale, lo sanno pure i sassi».

Invece, in tema rifiuti, termovalorizzatore o discarica?
«Termovalorizzatore, però con un piano rifiuti redatto della Regione. E in questo dalla sinistra io ho tutto da imparare perché loro sono dei maestri: sono riusciti a far dimenticare di essere stati commissariati e quindi umiliati dal governo, dal loro stesso governo del Pd, per il fallimento del piano rifiuti della Regione Lazio. Il piano rifiuti è stato qualcosa di drammatico, noi lo stiamo risolvendo entro l’anno, lo porteremo in Consiglio. Su questo credo che serva più coerenza e non possiamo essere ostaggio del “Nimby”, “non nel mio giardino”, perché poi si fa il male della comunità e la politica anche a livello locale deve comprendere che delle scelte vanno fatte. Dobbiamo lavorare insieme per le opere di compensazione, ma bisogna guardare alla crescita delle nostre comunità. Oggi abbiamo una sola discarica, a Viterbo, che si fa carico di tutta la regione, non è possibile e non è giusto, quindi noi individueremo dei siti a Latina, Frosinone e nella provincia di Roma. A sinistra però sono bravissimi nel mascherare gli scempi che hanno fatto, a me hanno puntato il dito perché ho regalato delle cravatte a Osaka e nessuno si ricorda dei 12 milioni di mascherine comprate da una società che vendeva lampadine».

Quindi secondo lei la polemica sull’Expo di Osaka, sulla delegazione regionale, è pretestuosa?
«Certo, è ovvio che io devo saper comunicare meglio ai cittadini, però c'è stata la dichiarazione di Giuseppe Biazzo, il presidente di Unindustria, che ha speso parole di elogio per tutto quello che è stato fatto a nome del sistema industriale della nostra regione. Chiedetelo al presidente Lorenzo Tagliavanti, della Camera di commercio, abbiamo fatto incontri con imprenditori, facciamo crescere il nostro tessuto economico e aumentano le opportunità di lavoro, migliorando il benessere. Come Regione Lazio abbiamo avuto un successo straordinario a Osaka e questo è un dato di fatto. Quando il dito indica una luna c’è sempre qualcuno che guarda il dito. E fatemi dire una cosa».

Dica pure.
«A puntare il dito è stato probabilmente l’unico consigliere regionale condannato dalla Corte dei conti».

Come se ne esce da questo clima? Lei ha fatto un appello al pragmatismo, alla collaborazione tra istituzioni.
«Questo però non vuol dire consociativismo. Vuol dire tornare ad avere un’architettura istituzionale dove il dialogo è centrale. La diversità delle opinioni è ricchezza, fa male quando c’è doppia morale. Le faccio un ultimo esempio, così torniamo a quando dice che vado d’accordo con Gualtieri. Abbiamo il teatro Eliseo chiuso. Si parla tanto dell'importanza della cultura e l’Eliseo ne è proprio la culla. Avevo allocato le risorse per rilevarlo e fare in modo che tornasse pubblico, ma siccome è di proprietà di un attore considerato di destra (Luca Barbareschi, ndr) ho avuto una sollevazione popolare. L’Eliseo chiuso è una ferita alla città e, anziché trovare un punto di contatto, sia il Comune che i consiglieri del Pd si sono sfilati. E poi guardi quello che è accaduto per il Teatro di Roma, semplicemente perché ci siamo permessi di dire la nostra insieme al Ministero, visto che è una fondazione e ci sono tre soci. Due hanno visto bene il direttore artistico, Luca De Fusco, che sta facendo tra l’altro delle cose straordinarie, applaudite dalla stessa sinistra. Non so se se lo ricorda, parlarono di "stupro". Questa doppia morale io non la tollero. Si sentono padroni di un elemento, la cultura, che invece dovrebbe essere patrimonio comune. Quando si assiste a un bello spettacolo teatrale, a un’opera cinematografica, non ci si chiede che cosa vota quell'attore o quel regista. Dovremmo ripartire forse proprio da queste cose. La cultura potrebbe essere un elemento che aggrega in una fase così divisiva».

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