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Tombe e lapidi distrutte Viaggio nei cimiteri devastati dal terremoto

Il cimitero di Castelsantangelo sul Nera

Silvia Mancinelli
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La pace eterna è interrotta dalle scosse. Nel giorno dei Santi, la città di Norcia ringrazia il suo, Benedetto, che ha salvato tanta gente ma non i morti scomodati nei feretri sventrati da un terremoto che ha scoperchiato lapidi, distrutto cappelle, riesumato bare tumulate una vita fa. Il nostro tour funerario inizia dal camposanto sulla statale Tre Valli Umbre, a pochi chilometri dal Centro Operativo del Comune dove i sopravvissuti lottano per un posto letto. Crollati il cancello principale e il muro di recinzione, il cimitero è un labirinto spettrale di cocci, fiori spezzati, piante e lumini rotti. La scossa di domenica ha profanato tombe di famiglia, scoperchiato le lapidi, abbattendo angeli e poveri Cristi con le mani aperte in un prato ormai minato. Le casse impolverate, in parte aperte, urlano silenti il ritorno alla pace. Scomode, storte e impolverate conservano i fortunati corpi addormentati, chissà, in una nuvola morbida e placida. Nel corridoio sotto la tettoia le ferite e la polvere dal tetto, martoriato dall'ondeggiare della terra. Più in là gli altari in ginocchio quasi si inchinano a crocifissi sfiniti e piegati dalla mano di un demone fracassone e impietoso. Non c'è pace qui, non c'è riposo. La paura della morte pare esser stata vinta dall'incubo di una pace eterna d'un tratto solo immaginata nei sermoni dei parroci. Scricchiola, inquietante, il cancello in ferro del minuscolo cimitero alle spalle della chiesa «bombardata» di Castelluccio. La Madonna della Cona, rassicurante e ancora appesa alla parete scampata al crollo, indica dalla strada i suoi morti senza tregua. Le scosse continuano. All'ombra di un castagnole porticine delle cappelle eseguono stridule il comando delle maniglie. Le lapidi sono aperte, distrutte. Il lumino a pila che ancora lampeggia pare animato di vita propria, sotto un cumulo di macerie e lettere scomposte che un tempo disegnavano un nome. “Non ho più una casa, i vestiti, la macchina, non c'ho più niente - piange la signora nel cimitero di Valcaldara -. Sono riuscita finalmente a vedere che almeno i miei genitori sono ancora nei loro loculi. Un miracolo, qui sembra un campo di battaglia». Le cappelle, alte e in fila a ridosso di sentieri erbosi troppo stretti, rimbombano e tremano mentre la terra torna a muoversi. L'ultimo pezzo di lastra si stacca da un loculo che nascondeva il feretro di un bambino, le tombe sono nude, i fiori ancora vivi e freschi le consolano in un nuovo viaggio. Stavolta senza meta. A Ussita il cimitero è sgretolato come la sua torre, ai sopravvissuti neppure la consolazione di raccontare ai propri cari il dolore immenso di questi giorni. A Castelsantangelo sul Nera, a Visso, a Caldarola si pensa ai vivi. I morti sono stati seppelliti un'altra volta, questa dalle macerie delle loro stesse lapidi. Impossibile portar loro un fiore. Chiuso pure il cimitero di Montegranaro, inagibile nella parte più antica, quella sotto al colonnato. Piove sul bagnato nel campo santo di Amatrice. Le sue vittime non hanno mai smesso di tremare. La terra agitata gli ha voltato le spalle ancora una volta. La pace non li vuole, e il cielo continua a piangere detriti.

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