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Breve storia di una notizia

Gian Marco Chiocci
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Confessiamo d'aver tremato, ieri, all'annuncio di Donald Trump sulla desecretazione degli atti dell'omicidio Kennedy. A una cert'ora pensavamo di dover rifare il giornale con la pubblicazione dei report riservati dell'Fbi che indicavano in Claudio Lotito, e non più in Lee Harvey Oswald, l'autore dell'assassinio dell'ex presidente americano colpito alla testa nella sua limousine presidenziale. Eravamo certi che uscisse il riferimento al presidente della Lazio perché ormai sulla sua di testa piove di tutto nonostante sia stato l'unico presidente ad aver rischiato la vita combattendo (e vincendo) la battaglia con i violenti della curva. Eravamo certi, certissimi, che a un certo punto venisse decrittato il suo nome visto che ormai sparare su Lotito è sport nazionale anche se non vogliamo, come nell'affaire Kennedy, evocare complotti e pensare a un tiro al bersaglio per farlo fuori dal Consiglio federale o per bloccare la Lazio che vola in campionato. No. Noi facciamo i giornalisti e se alla fine solo noi abbiamo difeso Lotito (indifendibile quando straparla senza farsi capire) è stato perché siamo andati a cercare riscontri, senza trovarli, a quella famosa frase sulla visita riparatrice in sinagoga dopo l'affronto degli adesivi di Anna Frank. Il nostro Luigi Salomone a una cert'ora ha portato in redazione un retroscena alternativo alla verità fin lì conclamata in tv, sui giornali, nella rete. Era tutta un'altra storia, comprovata da fonti dirette e indirette, dalla lettura di sms dei protagonisti della vicenda, di mail, ricca di spunti interessanti per chi fa questo mestiere. Giornalisticamente, una bomba. Per aver l'ultima conferma abbiamo deciso di chiamare direttamente il presidente della Lazio fin lì muto sul punto scovato da Salomone, e cioè che a fronte di numerose e reiterate richieste di organizzare un incontro pubblico con i vertici della comunità ebraica quest'ultima, per motivi vari, avrebbe declinato l'invito. O meglio la scelta di farla in sinagoga nasce proprio all'interno della comunità che poi, per motivi poco chiari, non mantiene fede alla proposta come dimostra una mail pubblicata all'interno. Ma c'è di più. A detta sempre di Salomone, la frase di Lotito «andiamo a fare la sceneggiata» in realtà andava interpretata al contrario, ovvero la stizza del presidente per la mancata adesione dei vertici della comunità ebraica all'appuntamento caldeggiato in sinagoga. «Ma se il rabbino capo è a New York, il vice non c'è, non c'è nessuno, ma che andiamo a fa ‘na sceneggiata». Salomone ci aveva poi riferito un'altra cosa sconvolgente, e cioè che l'interlocutore di Lotito al telefono era tale Pavoncello, responsabile dello sport della comunità ebraica e presidente della società Maccabi. A quel punto si imponeva una svolta nella ricerca giornalistica. Ora sentiamo Lotito e poi sentiamo Pavoncello. La telefonata al presidente biancoceleste ve la potete immaginare. Urla e strepiti fino a quando non gli facciamo il nome di Pavoncello. Lui si blocca. «Scusa direttore, ma voi che cazzo ne sapete di Pavoncello?». Presidente, è vero o non è vero che al telefono c'era Pavoncello? A quel punto Lotito conferma e confessa tutto, ma si capisce che non ha una gran voglia di parlare. Fino a quando su uno dei tanti telefoni di Lotito – e chi lo chiama sa che l'uomo parla contemporaneamente con tre/quattro interlocutori – si materializza Pavoncello. La telefonata è in vivavoce, la ascoltiamo in religioso silenzio senza ricordare a Lotito che siamo in ascolto. E tutto quel che dovevamo riscontrare viene riscontrato in diretta alla presenza non solo di chi vi scrive, ma del vicedirettore Gorra, del capo dello sport Carmellini e dell'incredulo Salomone. Pavoncello ammette tutto tra le urla di Lotito e questo basta (e avanza) per avere il secondo riscontro e sparare la notizia. Ecco perché ci ha fatto tenerezza la sua parziale smentita alle agenzie di stampa («È vero ho parlato con Lotito ma non ho mai sentito la parola sceneggiata»). Sappiamo come in certi frangenti gira la giostra e non ci scandalizziamo nemmeno se alcuni webeti giallorossi ci saltano su dandoci dei laziali dimenticandosi che Il Tempo è stato l'unico a battersi con successo, con l'immenso Fernando Magliaro, per lo stadio della Roma. Ci sono i giornalisti, e ci sono i quaquarqua. Pochi stanno di qua, il gregge bela sempre di là.

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