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Lo Scoppolone

Mafia Capitale: al processo alla cricca del "Monzo di Mezzo" cade clamorosamente l'aggravante mafiosa

Gian Marco Chiocci
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Roma non è Corleone. Una nuova mafia non c'è, non c'è mai stata. Non s'è allungata all'ombra del Colosseo, mai s'è infilata il Coppolone come invece scrivemmo a dicembre del 2014 dopo la maxi-retata. C'era, eccome se c'era, il marcio della politica e dell'imprenditoria, certa coattagine di taluni imputati (la cosiddetta “mafia parlata” delle intercettazioni) e l'impunità di un sistema nato e cresciuto nella corruzione trasversale, senza ideologie, ligia al potere. Così almeno la pensano i giudici della X sezione del tribunale lesti a cancellare il reato di associazione di stampo mafioso dal processo sul Mondo di Mezzo che da 33 mesi marchia d'infamia l'immagine della Capitale d'Italia. Niente picciotti alla vaccinara, dunque, ma delinquenti semplici, abituali. Puniti con condanne dure, anche troppo esemplari se si pensa all'assenza di una qualsiasi attenuante per imputati incensurati. Condanne dure a dimostrazione che il malaffare comune regnava indipendentemente da chi governava in Campidoglio. Se col brand «Mafia Capitale» crolla la retorica dei professionisti dell'antimafia, con onestà va detto che non può sprofondare l'immagine di un procuratore, Giuseppe Pignatone, che se pur sconfitto in un processo epocale, ha dato fin qui prova di capacità non comuni nel ripulire dal malaffare la Città Eterna. Epperò oggi è un giorno particolare. La pistola fumante, sentenziano i giudici, non s'è trovata. È il giorno della cilecca, per parafrasare Sciascia e sintetizzare la fine di un'impostazione accusatoria che i giudici hanno ritenuto fallace nonostante le pronunce iniziali della Suprema Corte e del Riesame. È il giorno in cui, incredibilmente, imputati condannati a 20 anni esultano come Tardelli al mondiale perché annusano l'aria di libertà o perché, nel caso di Luca Gramazio, abbracceranno per la prima volta il figlio Valerio venuto al mondo 20 giorni dopo l'arresto. E poi, purtroppo, è il giorno triste della speculazione politica. Ognuno a cantar vittoria anziché recitare il requiem della vergogna; con l'indagata Raggi in tribunale a pontificare di giustizia; coi democratici a rinfacciarsi il commissariamento del Pd romano; col centrodestra ossessionato dalla magistratura partigiana. Il giorno del giudizio è compiuto. Sul campo morti e feriti d'ogni schieramento giudiziario, politico, mediatico. Guai a pensare che il problema di Roma, per dirla alla Johnny Stecchino, sia solo il traffico. Sappiamo quanti criminali d'importazione infestino i nostri quartieri. Ma l'idea di una succursale di Corleone è stata cancellata da quello stesso giudice che al contrario, su Ostia, le condanne per mafia le aveva decretate. Come dire: c'è mafia e mafia. Perché se tutto è mafia, ammoniva Sciascia, allora niente è mafia.

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