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"Boia chi molla"

Il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi

Gian Marco Chiocci
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Altro che politicanti da talk show. Altro che i Brunetta o i Renzi referendari. Altro che Raggi, frigoriferi e funivie. Sono loro, i sindaci orfani di tutto, gli esempi di cui andare fieri. Sindaci dichiaratamente e orgogliosamente di destra: un po' ruvidi, nient'affatto telegenici, rozzi, sfacciati e perché no, maleducati. Ma con due palle così. Gente che dà l'esempio a mani nude. Che parla coi fatti, espressione di una nuova politica, di lacrime e crepe, polvere e tende, calcinacci e preghiere. Sindaci burberi impegnati ad abbracciare e tenere unita una comunità smarrita. Sindaci veri, veraci. Li senti in tv e sai che non si sparano la posa per una coccarda da opinionisti del sisma, ma per svegliare i burocrati, incalzare i parolai. Gente austera come Sergio Pirozzi e la sua felpa di Amatrice, crocifisso allo scorso terremoto per il sussulto identitario che lo rese da subito un «fascista» e dunque colpevole per i lavori mal fatti alla scuola o al campanile. Gente come Pierluigi Altavilla, il vice sindaco nero di Norcia, che al grido scorrettissimo di « boia chi molla» se ne è infischiato dell'indignazione web pensando solo a incitare i suoi fratelli a non indietreggiare, a reagire al Male, a tenere alta la testa. La politica locale, in questi anni, ci ha offerto di tutto e di peggio. Sindaci fieri di celebrare i non-matrimoni gay, di ammainare le bandiere sui marò, di dare un tetto agli immigrati lasciando in lista d'attesa i concittadini senza casa. Sindaci dilettanti o ladri. A quest'Italia noi preferiamo i bisbetici mai domi come il Pirozzi e l'Altavilla. Esempi di genuinità naif ma avamposti di quella politica che ha ancora qualcosa da dire e soffia ossigeno, seppur solo per qualche settimana, nell'asfissia del nulla che ci assale.

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