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di Sarina Biraghi È giusto sapere la verità? E' giusto dire la verità, sempre e comunque, a tutti nello stesso momento o è più giusto dosarla in base a chi l'ascolta? Oppure ?preferiamo ignorarla, la verità, per non soffrire.

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Perchéaltrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere: completamente vivi”. “Fai bei sogni” (Longanesi, pag. 210 euro 14,90), di Massimo Gramellini, è una storia personale, di un pezzo di vita dell'autore ma che tutti noi possiamo vivere. La storia di un uomo che parte con un handicap, la mancanza della mamma, e che per tutta la vita, fino ai 40 anni, cerca di ritrovare un equilibrio per non essere diverso dagli altri, e quando sembra quasi tutto normale, scopre la verità. Una vita intera mai scordando quando la mamma prima di andare a dormire gli sussurrava “Fai bei sogni, piccolino”. Per Gramellini la verità era nascosta in una busta gialla che gli consegna Madrina, l'amica della madre, dopo aver letto il suo precedente romanzo, l'”Ultima riga delle favole” dicendogli: “E' ora che qualcuno ti dica la verità”. Con quella busta in mano, Gramellini scopre il “buco” che ha preso dal suo stesso giornale, La Stampa, dove oggi è vicedirettore, e torna a quell'ultimo giorno dell'anno, indimenticabile, quando vide suo padre quasi crollare addosso l'albero di Natale, quando trascorse quella notte in casa dei più cari amici dei genitori senza vedere i fuochi d'artificio, quando la mattina dopo Baloo, il sacerdote dei lupetti, gli dice che la mamma è il suo angelo custode e che il Signore l'ha chiamata a sé, e lui non recita l'Eterno riposo ma chiede a Gesù “di fare un caffè alla sua mamma e rimandarla subito giù, oppure facesse andare anche lui, ma in fretta”. In quella mattina che rimane fissa ed eterna nella memoria di un bambino come tanti che perde non solo la madre ma anche l'innocenza, facendosi domande che un bambino non dovrebbe mai porsi. Frutto di quelle domande è Belfagor, il mostro che cova dentro il suo animo, un rancore istintivo nei confronti della vita che lo fa affondare ogni qual volta cerca di respirare. Lui aveva 9 anni e sua madre era morta di cancro a 43. Lui ha sempre pensato che sua madre fosse morta d'infarto lasciandolo all'improvviso, smettendo di amarlo, tanto che fino a 15 anni si vergognava di dire che era orfano e quando andavano gli amici a casa, nascondeva la foto della donna. Ma il padre quasi temendo di far crescere in fretta questo suo “bambino” gli continuava a nascondere quella verità che tutti sapevano. Crescere senza mamma, con un padre con il quale non c'è particolare confidenza, significa vivere un'infanzia con un vuoto che si riempie di piccole nevrosi e il rifiuto totale della morte della madre, al punto che, a chi glielo chiede, risponde che sua madre fa la rappresentante per una ditta di cosmetici e che passa la maggior parte del tempo all'estero, ragion per cui nessuno l'ha mai vista. Il rapporto con l'amore non sarà facile. La paura di perdere di nuovo una donna che ama è tanta. Forse il suo inconscio ha sempre saputo la verità, ma non voleva accettarla, perché quel dolore era anche l'alibi al timore di vivere. Le passioni, come il Torino, i Police, la lettura e quella casa davanti allo Stadio raccontano il percorso di vita del giornalista, un percorso fatto di ricerca per comprendere la radice e la causa per cui quella morte brucia come una ferita ancora aperta, una ferita che solo altro amore ha saputo sanare. Con una narrazione leggera, a tratti ironica, ma sempre palpitante e spesso commovente, Gramellini ci costringe a guardarci dentro e a ricordarci che anche noi, più o meno bambini, abbiamo avuto un dolore, un graffio nell'anima, e ci siamo chiesti perché proprio noi, perché ci siamo sentiti diversi e, soprattutto, dov'era Dio in quel momento? Eppure, come l'autore, abbiamo capito che le cose che accadono non sono positive o negative, perfette o sbagliate, ma è la nostra risposta, il nostro modo di porci che conta e quel graffio diventa uno stimolo, una spinta a riscattarci, a combattere. E' forse questo il senso della vita, sono le nostre reazioni a dare valore alla vita. Ed è per questo che non dobbiamo avere paura, ma coraggio, dal rapporto con la madre al lavoro agli ideali, perché la paura ci blocca, congela amore e sentimenti, taglia le ali al futuro e soprattutto ai sogni. Massimo Gramellini ha raccolto gli slanci e le ferite di una vita priva del suo appiglio più solido. Una lotta incessante contro la solitudine, l'inadeguatezza e il senso di abbandono. Il sofferto traguardo sarà la conquista dell'amore e di un'esistenza piena e autentica, che consentirà finalmente al protagonista, che camminava in punta di piedi e con la testa bassa perché il cielo lo spaventava e anche la terra, di buttarsi alle spalle la sfiducia e di tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo. “Fai bei sogni” è dedicato “Giuseppina Pastore, mia mamma” il cui sorriso risplende nella foto in bianco e nero che si trova nelle pagine finali dove la donna è ritratta con Massimo bambino sulle ginocchia ma è dedicato anche a quelli che nella vita hanno perso qualcosa. Un amore, un lavoro, un tesoro. E rifiutandosi di accettare la realtà finiscono per smarrire se stessi lacerandosi l'anima. Simbolica la frase, presente nel libro, che ne “I miserabili” di Victor Hugo Jean Valjean prima di spegnersi rivolge alla figlia adottiva Cosette: “Ce níest rien de mourir. C'est affreux de ne pas vivre”. Nulla è morire. Spaventoso è non vivere.

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