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di MARCO RESPINTI Prima (piuttosto che al di là) di ogni polemica (anche di quelle lecitissime) attorno alla celebrazione del 150° anniversario della proclamazione del regno d'Italia, sta un fatto, che come tale previene e prescinde ogni pur import

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Parrebbeuna banalità il dirlo, ma a seguire certi interventi sembra che questa realtà imprescindibile scivoli in secondo piano per poi da lì cadere nel dimenticatoio. Il Paese unito, cioè, oggi c'è, e qualsiasi valutazione su come esso sia stato fatto non lo cancella. Né qualsiasi pur legittima discussione sul suo conio e sulla sua bancarotta, non può deprezzarne il valore attuale. Svolta questa fondamentale opera di restaurazione dell'ordine delle cose quale supremo contributo al ricupero della logica (i giudizi partono dai fatti, mai viceversa), è allora lecito parlarne, persino in maniera maschia. Al farlo, il primo passaggio nodale con cui occorre fare i conti (ma, anche qui, sfidando il conformismo delle idée recue) è la constatazione della non equipollenza automatica fra unità politico-istituzionale della Penisola italiana e Risorgimento. Per lavorare virtuosamente e fruttuosamente attorno a questa doverosa distinzione è di grande aiuto il libro «1861-2011. A centocinquant'anni dall'Unità d'Italia. Quale identità?» (Cantagalli, Siena 2011, pp. 206 pp.) a cura di Francesco Pappalardo e Oscar Sanguineti, che raccoglie pressoché l'integralità delle relazioni presentate all'omonimo convegno, organizzato dall'associazione Alleanza Cattolica, e svoltosi a Roma, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio il 12 febbraio. L'unificazione dell'Italia, infatti, è - come osserva acutamente nelle conclusioni Giovanni Cantoni è un accadimento "politico-istituzionale e l'altro", il Risorgimento, "un momento latu sensu socio-culturale". Percepiti erroneamente invece come sinonimi, e così inculcati ai cittadini dalla cultura dominante, i due concetti, anzi gli stessi termini che li veicolano, divengono interscambiabili, epperò pericolosamente. Perché se il processo risorgimentale ha certamente prodotto l'unificazione italiana (valutabile come un bene), ciò è avvenuto attraverso una lunga serie di eventi sanguinosi, drammatici ed eversivi soprattutto nei confronti delle cultura condivisa che teneva assieme il popolo italico anche prima, e molto, dell'unificazione politico-istituzionale dello Stivale (il che è senza dubbio un male). Questi fatti, su cui «ancora» occorre farsi e dunque avere un giudizio, costituiscono il modo con cui l'unità è stata raggiunta, ma non esauriscono il tema. Insomma, non sarebbe stato inevitabile ottenere in quel modo dirompente l'obiettivo dell'unificazione italiana; né però il fatto che così sia avvenuto assolve dal giudicare il Risorgimento. Spiega bene il libro come il processo di unificazione si rese "necessario" dato il contesto (e l'andazzo) del tempo, soprattutto dopo lo sgretolamento inarrestabile della struttura imperiale, e nel più ampio scenario degli Stati-nazione che occupavano la scena europea almeno dalla seconda metà del secolo XVII. Ma altrettanto bene illustra come non era affatto scontato raggiungere quello scopo strategico attraverso la vera e propri Rivoluzione Italiana che, ideologicamente e militarmente poco differente dalla precedente Francese, anzi su suo modello, cercò di disfare, invece che di costruire, gl'italiani. Le numerose ferite lasciate volutamente sanguinare dal Risorgimento - dalla "questione cattolica" alla "questione meridionale", dalla questione del centralismo alla "morte della patria", meglio della "patria nata morta" - lo lasciano supporre, innescando la domanda delle domande. E cioè: possibile che per essere patrioti oggi, italiani orgogliosi e fieri, cittadini attaccati persino a quel pur ambiguo Tricolore che di fatto - e quindi comunque nobilmente ci rappresenta, si debba per forza gettarsi ai piedi di una mitizzazione che si regge sull'offesa e sulla conculcazione del sentimento più autentico che da secoli ci fa italiani? Sfogliando «1861-2011. A centocinquant'anni dall'Unità d'Italia. Quale identità?» si scoprono materiali preziosi per rispondere negativamente. Ovvero, come suggerisce il libro, "Unità sì, Risorgimento no".

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